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Da Ischia al Sudan: è italiana l’archeologa che studia la più antica lingua africana

Un progetto dell’Università L’Orientale di Napoli porta un team di archeologi italiani a studiare la lingua meroitica, la più antica lingua africana dopo quella egizia. Giovani ricercatori al lavoro nel deserto alla scoperta di elementi che possano permettere di decifrare questa antica lingua seppellita dai secoli.
A cura di Redazione Cultura
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Non sono molti gli studiosi che si sono dedicati allo studio della lingua meroitica, la più antica scritta in Africa dopo l’egiziano. Oggi ci prova, tra gli altri, un'archeologa italiana, il suo nome è Gilda Ferrandino ed è nata nel 1981 a Ischia. Dall'Istituto Orientale di Napoli, infatti, in qualità di field director del progetto, sta cercando di portare avanti un progetto affascinante: provare a interpretare la lingua meroitica, quella del regno di Meroe, attestata in Nubia dal III secolo a.C. al IV secolo d. C. Mezzo millennio in cui si formò, sviluppò e poi decadde un'importantissima cultura dell’Africa subsahariana, l'attuale Sudan.

Già ai primi del ventesimo secolo, qualcuno provò a interpretare la lingua meroitica. Fu l’egittologo inglese Griffith a decifrare il sistema di scrittura, ma molti aspetti – dalla grammatica alla sintassi – sono rimasti sconosciuti. Negli ultimi due decenni, poi, un altro ricercatore Claude Rilly ha portato avanti gli studi su questa lingua misteriosa.

Adesso c'è lei: Gilda Ferrandino da Ischia. Alle prese con la lingua più antica scritta in Africa, dopo l'egizio. Il meroitico fu la lingua dei sovrani che diedero vita al regno di Meroe e che ebbero relazioni con le maggiori culture, egiziana, romana ed ellenistica, che si succedettero sul territorio egiziano. Ma fu anche la lingua parlata da una popolazione che abitava l’area, prima della formazione del regno.

L’Università degli studi di Napoli “L’Orientale” conduce ricerche archeologiche in Sudan dal 1980. Qui è attiva una missione, il suo nome è IAEES (acronimo di Italian Archaeological Expedition to the Eastern Sudan), e punta a studiare i rapporti tra il Sudan orientale e le regioni circostanti, ovvero la valle del Nilo, il Deserto Orientale, il Mar Rosso e l’altopiano etiopico-eritreo. Nello specifico, nell’antichità il Sudan orientale è stato un crocevia di contatti culturali ed economici. Da lì transitavano molti beni preziosi diretti verso l’Egitto e il Mediterraneo, tra cui ebano, avorio e sostanze aromatiche.

Ed è qui che dal 2013 un cantiere-scuola in collaborazione con le università sudanesi, consente a giovani archeologi italiani de “L’Orientale”di lavorare nel deserto alla scoperta di elementi che possano permettere di decifrare questa antica lingua seppellita dai secoli.

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