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Vera Gheno: “Da anni la Crusca è tornata indietro su inclusività: preserva i rapporti con chi governa”

Fanpage.it ha chiesto alla linguista Vera Gheno un parere sulle indicazioni che la Crusca ha dato alla Cassazione sull’uso del linguaggio inclusivo.
A cura di Francesco Raiola
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Vera Gheno (Rosdiana Ciaravolo/Getty Images)
Vera Gheno (Rosdiana Ciaravolo/Getty Images)

Nonostante l'Accademia della Crusca si sia espressa chiaramente (e negativamente) nel settembre 2021 sull'uso di schwa e asterisco nell'ambito di una lingua più inclusiva, ogni volta che questa torna sull'argomento parte la strumentalizzazione sulla questione. In questi anni esistono alcune posizioni che cercano una risposta per l'uso di un linguaggio ampio, che vada oltre alcune forme consolidate della lingua italiana, come quella del maschile sovraesteso. Una delle linguiste che si è spesa maggiormente in tal senso è Vera Gheno a cui abbiamo chiesto di tornare, ancora una volta sull'argomento, in occasione di un'indicazione sulla scrittura rispettosa della parità di genere negli atti giudiziari posto all’Accademia della Crusca dal Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione: "Indicazioni generiche, di cui ce ne frega fino a un certo punto, che non hanno alcun potere prescrittivo" dice la linguista.

Perché questa cosa fa ancora scalpore, secondo lei?

Perché fa comodo usare questa notizia come distrattore, visto che la Crusca sul linguaggio ampio si era già espressa il 24 settembre 2021, quando aveva già detto cosa pensava. Quello di questi giorni è un parere che riguarda un ambito specifico, quello giuridico, non c'è una vera notizia, semplicemente è il solito circo mediatico che contraddistingue il giro delle notizie in Italia, per cui bisogna creare una notizia là dove non c'è.

È un testo in cui ci sono prese di posizioni politiche come quello sulla cancel culture, come mai?

Credo che rispetto alla presidenza di Nicoletta Maraschio, che fino a oggi è stata l'unica Presidente della Crusca, dal punto di vista dell'apertura e del progressismo si sia ampiamente tornati indietro. Quella attuale è una presidenza molto renitente al cambiamento e anche interessata a preservare la salute dei rapporti con chi governa.

Resta il fatto, però, che l'Accademia agli occhi comuni è l'istituzione principale quando si parla di linguaggio, quindi è difficile prescindere dai suoi pareri, no?

Questa cosa funziona molto a targhe alterne, nel senso che l'Accademia della Crusca viene citata come argomento di autorità quando fa comodo ma, al contrario, viene vituperata per aver accettato "petaloso", che è una falsità. Bisogna ricordare che rispetto alle accademie linguistiche che ci sono in altri Paesi, come quelle spagnole e francesi, la Crusca non ha alcun tipo di potere, ma è un ente che studia la lingua, che sono normalmente molto competenti, ma sono comunque persone che possono essere soggette a ideologie, politicizzazioni, punti di vista vari. Richiamare la Crusca come massima autorità che dice la cosa sempre corretta è un errore fattuale. Insomma, così come non si può imporre un'innovazione linguistica a tavolino, così non la si può vietare a tavolino.

All'interno di quel documento si parla anche della differenza tra linguaggio quotidiano e quello giuridico, spiegando, inoltre, che quest'ultimo non è il luogo adatto per le sperimentazioni.

Ma io sono d'accordo, è una cosa che dico spesso anche io. La cosa più divertente di questo teatrino è che la notizia non c'è, è ovvio che la lingua giuridica è il settore della lingua che si muove più lentamente ed è quello che ha bisogno della massima rigidità e esplicitezza, come diceva Francesco Sabatini. Tutte le parole devono essere pesate per essere il meno fraintendibili possibile, per essere più chiare possibile, perché attraverso di loro passa l'applicazione della legge, quindi è ovvio che non è il contesto per fare una sperimentazione, per qualsiasi esperimento di quel tipo quel linguaggio non è quello più adatto, per questo quello che dice la Crusca è di buon senso.

C'è poi la questione delle professioni declinate al femminile.

Sì, è evidente che moltissime persone non sono andate oltre i titoli e non si è accorta che la Crusca ribadisce un'altra posizione che tiene da tempo, ovvero che è lecito usare i femminili professionali, a dispetto dei tanti che parlano di "politicamente corretto" rispetto ai femminili, che non hanno letto ciò che la Crusca ha scritto: è un altro problema che abbiamo, quello per cui nessuno legge le fonti.

In un post su Facebook dici una cosa interessante, ovvero che bisognerà vedere "cosa succederà quando avremo unə magistratə o unu presidente del consiglio, oppure qualche ministr* di genere non conforme in più"? Cosa succederà?

C'è una relazione fortissima tra lingua e potere, questa non va mai sottovalutata – lo diceva Tullio De Mauro, non io – quindi da un lato è sacrosanto che le persone rivendichino degli usi linguistici che le accomodano meglio e che, magari, vanno anche contro l'establishment, dall'altro è altrettanto naturale che l'establishment cerchi di preservare lo status quo, perché assieme allo status quo linguistico c'è anche la conservazione dello status quo di potere. Di conseguenza se il potere è ancora, in linea di massima, etero-cis-patriarcale, da quel punto di vista è difficile fare entrare nuove soggettività. Quello che mi interessa, però, è capire cosa succederà quando ci saranno giudici, Ministri, Ministre di genere non conforme e forse qualcosa comincerà a cambiare anche nei gangli del potere.

All'interno del testo si legge anche che non è vero che "la lingua costituisca di per sé un condizionamento e un filtro rispetto alla percezione dei dati empirici reali". Che ne pensi?

Che è cherry picking, hanno preso un autore che dice quello che interessa loro, ma ce ne sono molti altri che dicono cose opposte, anche in ambito italiano e dell'Accademia.

Tipo?

Penso a tutto il filone degli studi di genere che da Cecilia Robustelli va in su e in giù, studiosi che dicono che la lingua aumenta la visibilità delle soggettività all'interno delle società e quindi può contribuire a riequilibrare gli squilibri sociali che esistono nel nostro mondo. Poi Robustelli lo riferisce solo alle donne, io lo riferisco anche alle altre soggettività. Io citerei anche Pascal Gygax, Professore di psicolinguistica dell'Università di Friburgo, che da almeno una decina di anni porta avanti esperimenti empirici sugli effetti del maschile sovraesteso sulla decodifica del pensiero, a livello cognitivo. Se uno vuole fare uno studio completo non cita solo Andrea Moro e Levi-Strauss, ma cita anche Wittgenstein, tutto il filone del post relativismo linguistico, ci sono molte persone che non credono ciecamente nell'ipotesi Sapir-Whorf (quello per cui lo sviluppo cognitivo di ciascun essere umano è influenzato dalla lingua che parla, ndr) però dei pensieri su questa ipotesi l'hanno fatta. Questa risposta sembra ignorare una bella fetta del pensiero linguistico degli ultimi 100 anni, quindi la trovo disonesta.

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