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Najeeb Farzad: “Non dimenticate l’Afghanistan, il peggior posto in cui una donna possa vivere”

A Fanpage.it, il drammatico racconto del giornalista e scrittore afghano perseguitato dai talebani che è riuscito a trovare rifugio in Italia, a Pomigliano d’Arco.
A cura di Redazione Cultura
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Guarda il Vesuvio e il mare azzurro dal balcone della nostra redazione e due lacrime piccole gli rigano il viso. La storia di Najeeb Farzad è una delle più incredibili e drammatiche di questa stagione. È un giornalista e scrittore afghano, direttore della Asia Culture House, una no profit che si è occupata nei vent'anni di libertà dai talebani di fare cultura e contribuire alla crescita e al progresso della democrazia in Afghanistan. Dal momento in cui i talebani hanno ripreso il comando, Najeeb è stato costretto a nascondersi insieme alla sua famiglia, vivendo nel terrore. A salvarlo è stato il suo contatto in Italia, l'editore di Wojtek Ciro Marino che lo aveva invitato al Flip, il Festival della Letteratura Indipendente di Pomigliano d'Arco. Proprio in quei giorni, i talebani prendono il controllo di Kabul e per Najeeb non è più possibile partire: la priorità è nascondersi. Da Pomigliano parte l'appello, una raccolta fondi e l'impegno della stessa Farnesina con Luigi Di Maio per cercare di salvare il giornalista e la sua famiglia. A Fanpage.it, Najeeb Farzad racconta tutto e non si trattiene: "Avevamo costruito una Kabul serena, ora tutto è andato distrutto". 

Il peggior posto in cui una donna possa vivere

"L'Afghanistan è il peggior posto in cui una donna possa vivere", ci ha raccontato Najeeb che non nasconde le sue preoccupazioni in un momento storico dove tutta l'informazione si trova a raccontare il conflitto in Ucraina mentre a Kabul il regime talebano tiene in scacco la vita di uomini e donne e l'Isis continua a colpire con attentati episodici, come quello della Moschea di Kabul avvenuto venerdì.

In questo momento, l'Afghanistan è il posto peggiore in cui una donna possa vivere. Le ragazze non possono tornare ancora a scuola, la loro istruzione è completamente compromessa in questo momento. È davvero il peggior posto del mondo in cui vivere, per una donna. Sono bandite da tutte le attività, non possono uscire da sole se non accompagnate e sempre coperte interamente.

Najeeb Farzad guarda per la prima volta il Vesuvio e il mare.
Najeeb Farzad guarda per la prima volta il Vesuvio e il mare.

Kabul era diventato un posto normale dove crescere e vivere

"Ci siamo svegliati la mattina e i talebani sono arrivati a Kabul e hanno cominciato a prendere il controllo di diversi punti della città. I soldati afghani scappavano e a quel punto ho cercato di nascondermi in alcuni punti, ho provato anche a scappare dalla città, ma era impossibile". A quel punto, il filo diretto con l'Italia, la firma di un contratto di edizione per velocizzare le pratiche e quattro mesi di paura fino al 2 dicembre 2021 quando Najeeb riesce a scappare, travestendo lui e la sua famiglia da contandini: "Sono riuscito a scappare illegalmente, passando per il Pakistan e trovare il modo di arrivare fino a qui a Napoli. Ogni passaggio di questa storia è stato doloroso, ma il più doloroso è stato quando al confine con il Pakistan mi hanno diviso da mia moglie e i miei figli. Quando siamo riusciti ad incontrarci, mio figlio mi ha detto: "Ti prego papà non mi lasciare più indietro".

Prima della riconquista dei talebani avevamo tutto. La vita era assolutamente normale. C'erano problemi in altre zone dell'Afghanistan, noi però stavamo ricostruendo. Avevamo lavorato duramente per vent'anni per cambiare l'Afghanistan. L'arrivo dei Talebani ha cambiato completamente la situazione.

Najeeb Farzad adesso sta riscostruendo la sua vita in Italia, a Pomigliano d'Arco, ma il pensiero resta per gli operatori culturali rimasti lì, in pericolo. Tra questi, c'è anche suo fratello: "Abbiamo avuto il privilegio di salvare le nostre vite, proteggere la nostra famiglia qui (a Napoli, ndr) ma il pensiero resta per quelli che sono rimasti lì, ancora in pericolo, che cercano una via di salvezza".

Intervista a cura di Gennaro Marco Duello e Francesco Raiola

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