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La guerra non va in vacanza, la nostra solidarietà sì

Tutte le paure e gli incubi atomici per la guerra in Ucraina che hanno accompagnato il nostro inverno sono sepoltI fra le onde di questa estate, la più calda del secolo, fino ovviamente all’arrivo della prossima. Ma…
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"Ora l’inverno del nostro scontento s’è mutato in splendida estate, grazie a questo sole (di York). E tutte le nubi che aduggiavano alle nostre finestre ora son sepolte nel profondo seno del mare". È sorprendente come questi meravigliosi versi scritti da Shakespeare alla fine del 1500 siano talmente attuali da sembrare scritti ora per raccontare quello che stiamo vivendo oggi con la guerra in Ucraina. Tutte le paure, angosce, preoccupazioni per chi scappava dalla guerra e per l’avvicinarsi della stessa, l’incubo del pericolo atomico che hanno accompagnato il nostro inverno, appena passato, sono scomparsi, sciolti come neve al sole, sepolti sotto le sabbie e fra le onde di questa nostra estate infernale, la più calda del secolo, fino ovviamente all’arrivo della prossima.

Shakespeare raccontava l’ascesa e la caduta di Riccardo III, nell’omonima tragedia aperta dai versi di cui sopra, un uomo talmente ossessionato dal potere e dalla sua ambizione, da assoldare e pagare un indovino per diffondere false profezie e indurre il re ad eliminare il suo diretto avversario al trono, per diventare, agli occhi di tutte e tutti, il suo legittimo possessore. E cos'altro è tutto questo se non propaganda, fake news e polarizzazione ante-litteram? La guerra che ancora si sta combattendo ma che noi stiamo seppellendo, giorno di ferie dopo giorno di ferie, sotto gli ombrelloni, le pinne, il fucile e gli occhiali, è la guerra della propaganda, della polarizzazione, della menzogna costruita come verità, che lentamente, stagione dopo stagione, stiamo perdendo di vista. La verità, non solo la guerra.

Siamo talmente assuefatti da tutto questo, da perdere il senso del tempo, non distinguiamo il nuovo dal vecchio, il lontano dal vicino; siamo quotidianamente travolti da così tante immagini e notizie, vere o false che siano, da non coglierne più il senso, da perdere la nostra capacità di empatia, di commozione, di muoverci a compassione nei confronti di chi sta peggio di noi, perché tanto domani arriverà qualcosa di nuovo, qualcuno che starà ancora peggio e allora perché preoccuparsi? Non abbiamo più il tempo di assimilare nulla. E in più – come accade ogni anno da che io abbia memoria – con l’avvicinarsi dell’agosto, ogni cosa si chiude e si ferma: la politica, le crisi che si risolvono prima o dopo ferragosto, le serrande dei negozi, e, a quanto pare, evidentemente anche la nostra percezione del mondo fuori.

Citando l’immortale Pozzetto: “Vi siete chiusi dentro.” Anche se siamo noi a restare fuori. Di sicuro qualsiasi cosa facciamo o diciamo non credo potrà cambiare le sorti della guerra: né se condividiamo e postiamo ossessivamente foto dei massacri di civili (che continuano ad esserci quotidianamente, nonostante le ferie), né se continuiamo a far finta che non ci siano, a ignorare totalmente la guerra che a quanto pare, non va in vacanza. Di certo non sono migliore di chi se ne infischia solo perché ne parlo, mi commuovo, spiego e do risposte a mio figlio e mia figlia che incontrando bambini ucraini mi chiedono se la guerra sia finita e perché ce ne siamo dimenticati. Non sono migliore di nessuno perché in definitiva le mie parole non smuoveranno le coscienze di chi decide delle sorti della guerra e forse servono solo a placare il mio senso di colpa e impotenza.

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Però… c’è un piccolo però in fondo a questo “inutile” pezzo. Seppur sia vero che la storia si presenta continuamente sempre uguale a sé stessa, come ci insegna il Poeta con i suoi meravigliosi versi, e che l’umanità è sempre lì, sull’orlo dell’abisso, è anche vero che l’ignavia non porta da nessuna parte se non da se stessi, e che alcune volte le parole sono riuscite per davvero a cambiare il mondo. Di certo non è questo il caso però – ancora un piccolo e ultimo però – se rispondiamo alle nostre figlie e i nostri figli, ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze, a chi semplicemente è molto più giovane di noi, se cerchiamo di non far finta di nulla davanti a loro, se continuiamo a parlare di quello che sta accadendo in Ucraina, e in Siria da oltre dieci anni, e in Kurdistan, e in Afghanistan, e in Libia, e nello Yemen, e in Myanmar, e in Palestina eccetera eccetera eccetera allora forse la totale incoscienza, ignoranza e indifferenza non sarebbe più dannosa di quanto non lo sarebbe comunicare la nostra fragilità, il nostro smarrimento dinanzi all’orrore che ci è intorno, che insegnerebbe loro che siamo capaci di comprendere il dolore degli altri e di volerne porre fine, al di là della paura che quel dolore divenga anche nostro.

E forse accadrà che un giorno i figli e le figlie impareranno dagli errori dei loro padri e delle loro madri e i figli delle figlie dei figli impareranno dai loro errori e così via fin quando verrà, forse, un tempo in cui ci saranno soltanto persone migliori… ma nel frattempo se non parliamo loro dei nostri errori e dei nostri orrori, tutto questo, senza alcun forse, non accadrà mai. Detto ciò vado a preparare la borsa per il mare perché alla fine non sono migliore di nessuno.

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