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Cosa voleva dire Roberto Giachetti durante il suo strano intervento alla Camera

Roberto Giachetti (Pd), con un finto messaggio in codice, ha provato ad attirare l’attenzione dei colleghi: “Sono intervenuto per stigmatizzare la responsabilità di gran parte della maggioranza che era fuori dell’aula a farsi i fatti suoi invece di seguire il dibattito”.
A cura di Annalisa Cangemi
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Durante la discussione in Aula alla Camera del decreto che dovrebbe sbloccare il trasferimento del palazzo di giustizia di Bari, dopo lo sgombero per il rischio crolli del vecchio tribunale e le aule trasferite provvisoriamente sotto le tende, Roberto Giachetti ha pronunciato delle frasi sibilline rivolte ai deputati del suo gruppo: "Fase due, al mio partito dico: ‘le pere sono mature e l'albero è spoglio'". 

Tutti i presenti si sono chiesti quale fosse il significato di questo criptico messaggio. Poi è lo stesso parlamentare a spiegare su Facebook lo scopo del suo intervento: "Oggi, dopo ore di battaglia alla Camera per chiedere al ministro Bonafede di riferire su quanto scritto da La Repubblica circa la seria possibilità che lo stabile individuato dal ministro per la sede provvisoria del tribunale di Bari sia seriamente legato a personaggi riferibili alla criminalità organizzata, sono intervenuto per stigmatizzare la responsabilità di gran parte della maggioranza che era fuori dell’aula a farsi i fatti suoi invece di seguire il dibattito. Perdonatemi se ho usato un luogo così sacro per prenderli un po’ in giro, con un intervento che voleva fargli credere che fosse un messaggio in codice! Il bello, amici, è che ci hanno creduto e si sono precipitati tutti in aula di corsa pensando che si votasse subito!". Giachetti insomma voleva solo attirare l'attenzione dei colleghi distratti.

Il dem si riferiva alla notizia pubblicata dal quotidiano, secondo cui la scelta del ministro della Giustizia, il pentastellato Alfonso Bonafede, sarebbe ricaduta su un edificio in odor di mafia: l'immobile sarebbe infatti di proprietà di un privato, ritenuto un amico fidato di ‘Gianpi' Tarantini, un imprenditore sospettato di aver prestato denaro ad organizzazioni criminali mafiose.

La scelta ha fatto infuriare le opposizioni, che ieri hanno intonato cori in Aula, urlando "Onestà, onestà", riprendendo il refrain tipicamente utilizzato dagli esponenti del M5S. E alla fine è sopraggiunto il caos. Dopo che la presidente della commissione Giustizia Giulia Sarti non è riuscita con un intervento a placare gli animi, è arrivata una dichiarazione di Bonafede, attraverso un post su Facebook e non, come richiesto da Pd, Fi e Fdi, pronunciata in Aula: l'opposizione a quel punto ha dato il via a un lento ostruzionismo. Dopo oltre un'ora di interventi a raffica il sottosegretario alla Giustizia ha provato a chiarire. Ma Vittorio Ferraresi ha utilizzato parole sbagliate, evocando "possibili conseguenze penali" per alcune affermazioni fatte da esponenti del Pd sul proprietario dell'immobile barese, dimenticando che ai parlamentari è garantita dalla Costituzione l'immunità per le opinioni espresse. Il Pd ha chiesto le sue dimissioni, e contemporaneamente alcuni leghisti hanno stuzzicato i deputati di Fdi, accusandoli di essere la "stampella" di M5S. A quel punto è scoppiata una vera e propria rissa, tra schiaffi e pugni. La seduta è stata sospesa, dopo i tentativi di Roberto Fico di interrompere il ‘ring': il presidente della Camera ha annunciato sanzioni. Alla fine Bonafede prova a spiegare che il "Dl punta semplicemente a togliere le tende sospendendo i termini processuali. Per poter riprendere dopo il 30 settembre le udienze a Bari" e che assicura di aver dato "mandato agli uffici di fare tutti gli approfondimenti necessari oltre a quelli già fatti e previsti da una legge peraltro approvata dal Pd. Ma questo non ha nulla a che vedere con il provvedimento all'esame dell'Aula".

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