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Elezioni politiche 2018

Cosa succede adesso e perché Mattarella è con le spalle al muro

Proviamo a capire cosa potrebbe succedere dopo le elezioni del 4 marzo e quali saranno le mosse del Presidente della Repubblica.
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Quando sono passate poche ore dalle elezioni politiche del 4 marzo 2018, si moltiplicano le ipotesi sui possibili scenari che potrebbero essere determinati dal voto degli elettori. Era noto, infatti, che il combinato disposto fra la legge elettorale approvata in chiusura di legislatura, il Rosatellum bis, e la frammentazione del consenso, potesse non garantire una maggioranza numerica in entrambi i rami del Parlamento alla forza politica che avesse “vinto le elezioni”.

Prima di tutto bisogna chiarire un concetto: non c'è alcun automatismo fra vittoria elettorale e incarico di formare il Governo. Teoricamente non ci sarebbe neanche nel caso in cui una coalizione o una lista vincesse le elezioni ottenendo la maggioranza dei seggi nei due rami del Parlamento. Spetterebbe sempre al Presidente della Repubblica, dopo il giro di consultazioni, ovvero dopo aver sentito i principali leader politici, conferire l’incarico di formare il Governo. Le consultazioni potrebbero durare giorni, soprattutto nel caso in cui dalle urne non uscisse una indicazione chiara o, chiaramente, nel caso in cui la frammentazione del consenso non consentisse l’individuazione di possibili maggioranze parlamentari.

Questo è esattamente ciò che è avvenuto. La tornata elettorale ha consacrato Matteo Salvini e Luigi Di Maio, ma ha anche aperto uno scenario nuovo, molto complesso. Se alcuni risultati non erano poi così imprevedibili, ma ci torneremo, difficile era mettere in conto uno scenario del genere, quello cioè nel quale formare una maggioranza non solo non è semplice, ma non appare nemmeno probabile. E quello che arriverà sulla scrivania di Sergio Mattarella è un puzzle non risolvibile, perché non solo mancano dei pezzi (dei seggi), ma non c'è nemmeno una figura da ricostruire. Pezzi, seggi, sparsi: dargli un senso sarà impresa ardua.

Il MoVimento 5 Stelle reclamerà con forza l'incarico e, del resto, è difficile avallare l'idea che una forza politica col 33%, con 230 deputati e 120 senatori, possa essere messa ai margini senza ripercussioni. Di Maio proverà a rendere credibile l'idea di un esecutivo di minoranza, ovvero di un esecutivo che si regga grazie alla convergenza spontanea di molti parlamentari sul programma e sulla squadra di governo dei Cinque Stelle. Servono più di cento parlamentari, difficile che Mattarella possa acconsentire a un tuffo nel vuoto di Palazzo Madama e Montecitorio. Allora i Cinque Stelle dovranno guardarsi intorno, ma sappiamo tutti ciò che troveranno: una manciata di seggi "potenzialmente raggiungibili" in area LeU e poco altro, considerando che di intese organiche con PD e Forza Italia non se ne parla nemmeno.

Resta la Lega Nord, resta l'altro trionfatore delle elezioni, ovvero Matteo Salvini. Prima del voto, entrambi si erano sottratti all'ipotesi di alleanza, ma ora il quadro potrebbe cambiare, sia perché le forze "euroscettiche, antisistema e populiste" rappresentano la maggioranza del Paese, sia perché entrambi rischiano di buttare un clamoroso risultato elettorale. Come Di Maio, anche Salvini rischia di avere pochi margini di manovra. Come Di Maio, Salvini rivendicherà per se l'incarico, come da patti con Berlusconi e forte della maggioranza dei voti e dei seggi alla coalizione di centrodestra. Ma, come e più di Di Maio, rischia di non avere né appoggi né alleati: sia perché nessuno del PD voterebbe mai un governo Salvini, sia perché in molti forzisti preferirebbero tornare a votare pur di sostenere un esecutivo a trazione leghista.

E le larghe intese centrodestra / PD? Ancora più complicato, perché il PD non voterebbe mai un esecutivo Salvini e allo stesso tempo non potrebbe mai nascere un governo senza i voti della Lega.

Dunque? Tocca a Mattarella, dicono tutti. Ma il Presidente della Repubblica non può inventare maggioranze, non può spostare decine di parlamentari con la sola forza di volontà. Siamo sempre lì: un puzzle non risolvibile. A meno di una svolta populista, Lega e M5s, oppure di un clamoroso scenario: il PD "si libera" di Renzi e decide di dar fiducia a un governo Di Maio. Lo chiameremo lo scenario "bersaniano capovolto", ironia della sorte.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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