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Corte di Strasburgo: è lecito usare le immagini di Gesù e Maria in pubblicità

La Corte dei diritti umani ha condannato la Lituania per aver multato un’azienda che aveva usato i simboli religiosi su alcuni manifesti pubblicitari. Secondo i giudici la multa inflitta per aver “offeso la morale pubblica” ha violato il diritto alla libertà d’espressione dell’azienda.
A cura di Susanna Picone
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La Corte europea dei diritti umani si è espressa a favore di un'azienda lituana che aveva utilizzato simboli religiosi per fare pubblicità e per questo motivo era stata multata. In particolare l’azienda, la Sekmadienis Ltd, aveva utilizzato delle immagini che rimandavano a Gesù e Maria su manifesti pubblicitari e su internet per vendere dei vestiti. Secondo i giudici, la multa inflitta per aver “offeso la morale pubblica” ha violato il diritto alla libertà d'espressione dell'azienda.

Le pubblicità sotto accusa in Lituania

I fatti risalgono al 2012, quando la società lituana ha lanciato una campagna pubblicitaria utilizzando le foto di un uomo e una donna con l'aureola. L’uomo, tatuato, indossa dei jeans; la donna ha un vestito bianco e una collana di perline. Le frasi che accompagnano le foto sono: “Gesù, che pantaloni!”, “Cara Maria, che vestito!” e ancora “Gesù e Maria, cosa indossate!”. Queste pubblicità hanno innescato una serie di polemiche e l'Agenzia nazionale per la difesa dei diritti dei consumatori, dopo aver chiesto l'opinione dell'organo autoregolamentato degli specialisti di pubblicità e della conferenza episcopale lituane, ha concluso che le pubblicità non rispettavano la religione e quindi erano una violazione della morale pubblica. Per questo l'azienda era stata multata per 580 euro.

La sentenza della Corte europea dei diritti umani

Nella sentenza della Corte europea dei diritti umani (che diverrà definitiva tra 3 mesi se le parti non faranno appello) i giudici affermano che le autorità nazionali hanno un ampio margine di manovra su questioni simili in particolare in casi che riguardano un uso commerciale dei simboli religiosi. I giudici evidenziano però che le pubblicità in questione “non sembrano essere gratuitamente offensive o profane” e “non incitano all'odio”, per cui le autorità sono tenute a fornire ragioni rilevanti e sufficienti sul perché sarebbero contrarie alla morale pubblica. In questo caso le ragioni date dalle autorità per i giudici “sono vaghe e non spiegano con sufficiente esattezza perché il riferimento nelle pubblicità a simboli religiosi era offensivo”. La Corte critica in particolare le autorità per aver giudicato che le pubblicità “promuovevano uno stile di vita incompatibile con i principi di una persona religiosa” senza spiegare quale fosse lo stile di vita incoraggiato e come quelle foto e frasi lo stessero favorendo. I giudici sono anche critici sul fatto che il solo gruppo religioso consultato per giudicare del caso sia stato quello cattolico.

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