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Contrabbando di esplosivi e sigarette: arrestato il vice prefetto dell’Elba

Giovanni Daveti, vice-prefetto dell’Isola D’Elba, tra le nove persone finite in manette in seguito a un’operazione della Guardia di Finanza, che ha scoperto sull’isola un’associazione a delinquere che gestiva il contrabbando di sigarette ed esplosivi. Tra gli arrestati anche un membro della ‘Ndrangheta.
A cura di Davide Falcioni
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C'è anche Giovanni Daveti, vice-prefetto dell'Isola D'Elba, tra le nove persone finite in manette in seguito a un'operazione della Guardia di Finanza, che ha scoperto sull'isola un'associazione a delinquere che gestiva il contrabbando di sigarette ed esplosivi. Tra gli arrestati "di peso" c'è però anche un membro di una famiglia della ‘ndrangheta operante in Piemonte che fu mandante dell’omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia. Per sette delle nove persone finite in manette sono scattati i domiciliari. Tra le accuse contestate agli arrestati, anche quella di associazione a delinquere e porto abusivo di esplosivi.

Le ordinanze di custodia cautelare, emesse dal giudice per le indagini preliminari Marco Sacquegna, sono state eseguite dalla Guardia di Finanza di Livorno su ordine del procuratore capo Ettore Squillace Greco. L'operazione “Vicerè” si inserisce nel contesto di un'approfondita indagine effettuata dai militari della Compagnia di Portoferraio e dal Nucleo di Polizia economico finanziaria di Livorno, che ha condotto alla denuncia di 27 individui  accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere, porto abusivo di esplosivi (detenuti al fine di compiere un atto di intimidazione), contrabbando di 9 tonnellate di sigarette, indebita compensazione di debiti tributari tramite fittizie compensazioni, illecita sottrazione al pagamento delle accise sugli alcolici, anche mediante falso in documenti pubblici informatici.

L'inchiesta ha dimostrato che il viceprefetto Giovanni Daveti, che dopo un accertamento tributario aveva ricevuto cartelle esattoriali per 115 mila euro, chiese aiuto al pregiudicato Giuseppe Belfiore, affiliato alla ‘ndrangheta, per abbattere la pendenza debitoria sfruttando, in compensazione, inesistenti crediti Irpef artificiosamente creati e sfruttati per compilare i modelli unificati di pagamento F24. E' una delle accuse contestate dalla Guardia di Finanza al funzionario arrestato. Il sistema utilizzato, secondo gli inquirenti, "prevedeva il frazionamento dell'importo complessivo dovuto all'erario in somme di entità inferiore e, per ciascuna di tali frazioni, il ‘pagamento' mediante un modello di versamento F24 recante la corresponsione materiale, attraverso il canale home banking,  dell'irrisoria somma di un euro affiancata dalla fittizia compensazione di decine di migliaia di euro". Le indagini avrebbero accertato che queste compensazioni di cui ha beneficiato Daveti non erano un caso isolato, ma diffuse in tutta l'organizzazione che nel periodo 2016/2017 hanno consentito ad altri 7 soggetti di ottenere, con le stesse modalità, l'abbattimento delle proprie posizioni debitorie nei confronti del fisco, per un valore complessivo di circa un milione di euro. In un caso questo sistema ha avvantaggiato un'imprenditrice di Faenza (Ravenna), moglie di un membro della banda, per quasi 175 mila euro. Il sistema pianificato prevedeva il versamento, da parte dei soggetti intenzionati ad accedere all'indebita compensazione, di un importo pari al 22% del "beneficio" richiesto, quale compenso per il "servizio" ottenuto. A questo importo, secondo quanto ricostruito dalle
fiamme gialle, si doveva, inoltre, aggiungere un ulteriore 8% a titolo di commissione da riconoscere a Daveti per il proprio ruolo di intermediario.

Il vice prefetto non è nuovo alle cronache giudiziarie, essendo già finito sotto processo negli anni scorsi. Ai tempi in cui era capo di gabinetto della prefettura di Livorno venne coinvolto nell’inchiesta sulle patenti ritirate per eccesso di velocità restituite solo dopo il pagamento di un'ingente somma di denaro. Da quelle accuse tuttavia Daveti era stato assolto. Aveva sempre sostenuto la sua innocenza, ipotizzando che il suo coinvolgimento nell’indagine fosse legato alle sue inimicizie in prefettura e alla sua battaglia contro la criminalità organizzata.

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