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Conte cita il Dostoevskij “populista”. Ma in quel testo ci sono anche europeismo ed accoglienza

Europeismo, fratellanza universale tra le razze e universalismo. Nel testo di Dostoevskij citato dal premier Giuseppe Conte nel suo discorso al Senato c’è molto altro oltre l’elogio del populismo. Come mai il Presidente del Consiglio ha scelto, nell’infinita letteratura sul tema, proprio il discorso in onore di Puškin?
A cura di Redazione Cultura
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Giuseppe Conte ha affidato il suo "elogio del populismo" al discorso pronunciato da Fedor Michajlkovic Dostoevskij in onore del grande poeta e drammaturgo russo Aleksandr Sergeevič Puškin tenuto l'8 giugno del 1880 a Mosca, nella seduta solenne della "Società degli amici della letteratura russa", in occasione dell'inaugurazione del monumento al drammaturgo russo. Scelta da considerarsi apparentemente insolita, soprattutto se il premier era alla ricerca di fonti bibliografiche a sostegno del suo elogio populista. Che, almeno in teoria, non mancherebbero nella sterminata letteratura in proposito. Eppure, tra tutti i possibili testi, Conte ha scelto proprio le parole dell'autore di "Delitto e castigo". Come mai?

Dal punto di vista letterario quel discorso è foriero di diversi spunti. Innanzitutto, proprio di quell'elogio del populismo voluto dal Presidente del Consiglio per mostrare il suo programma di governo al Senato. A partire dall'esaltazione dell'intellettuale russo che più di tutti è stato in grado di "unirsi al popolo", cioè il Puskin de "Gli zingari" e poi, naturalmente, dell'"Onegin" in cui la figura dello scrittore si fonde in un mirabolante tutt'uno col popolo. Puskin, che secondo Dostoevskij è il "poeta popolare" per eccellenza, nel tratteggiare il personaggio di Tatiana ("la vera donna russa") innamorata del "vagabondo universale" Onegin, riesce nell'imprese di dipingere tutta la bellezza del popolo attraverso la scrittura. Così come, in un certo senso, si promette di fare la narrazione giallo-verde al potere da contrapporre a quella elitista dei governi che lo hanno preceduto.

Eppure nel discorso di Dostoevskij citato dal primo premier pentaleghista ci sono anche altri riferimenti, che stridono con le annunciate politiche sovraniste, di messa in discussione dell'Europa e di sostanziale chiusura allo straniero, al diverso. Forse che il ministro degli Interni del governo Conte non abbia ancora letto il discorso dell'autore dei "Fratelli Karamazov"? O che lo stesso Conte non lo abbia fatto in fondo? Vediamo, nel concreto, un passaggio del discorso di Dostoevskij in cui si fa largo più chiaramente una visione "europeista" e – se consentite la forzatura del linguaggio – a favore dell'accoglienza:

Sì, la missione dell'uomo russo è incontestabilmente paneuropea e universale. Diventare un vero russo, diventare completamente russo, forse, significa, soltanto diventar fratello di tutti gli uomini, uomo universale, se volete.

E poco più sotto, sempre in tema di fratellanza universale:

L'animo russo, profondamente umano, saprà abbracciare con amore fraterno tutti i nostri fratelli, e alla fine, forse, dirà la definitiva parola della grande armonia universale, dell'accordo definitivo di tutte le razze.

La questione ha molto a che fare, per fornire qualche elemento utile alla riflessione, con la russia zarista e con le riforme inaugurate da Pietro il Grande a cui nel suo discorso Dostoevskij fa più volte riferimento. Naturalmente l'azione di citare qualcun altro per spiegare i propri intenti significa sempre dover in un certo senso attribuirgli cose che non ha mai detto, né pensato, in cui le corrispondenze tra parole sono tradite nei significati che essere rappresentano dai diversi contesti storici e geografici. Eppure, per tornare a quell'elogio del populismo con cui abbiamo iniziato, fa abbastanza impressione leggere la critica all'Europa che l'autore di "Memorie del sottosuolo" intraprende qui, rimandando chiaramente a un'idea di riforma stessa dell'Europa:

Perché cos'ha fatto la Russia durante tutti questi due secoli nella sua politica, se non servire l'Europea e, forse, molto più che se stessa? (…) I popoli d'Europa non lo sanno neppure quanto essi ci sono cari! E più tardi, io ne ho piena fede, noi, cioè non noi personalmente ma coloro che verranno, i futuri russi comprenderanno tutti, dal primo all'ultimo, che diventare un vero russo significherà precisamente aspirare alla definitiva riconciliazione delle contraddizioni europee, mostrare la via di uscita alla tristezza europea.

Verrebbe da dire che Conte abbia individuato in Dostoevskij un'europeista alla maniera grillina ante litteram. Sì all'Europa, insomma, ma superandone la "triste" concezione attuale.

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