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Comunità tribali, senza terra e sotto minaccia

Alcuni di essi sono l’ultimo baluardo contro deforestazione selvaggia e distruzione dell’habitat di molte specie: sono i popoli tribali che, molto spesso, non godono di alcun diritto sul proprio territorio e vivono un’esistenza sotto minaccia.
A cura di Nadia Vitali
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Alcuni di essi sono l'ultimo baluardo contro deforestazione selvaggia e distruzione dell'habitat di molte specie, sono i popoli tribali che, molto spesso, non godono di alcun diritto sul proprio territorio e sono in costante pericolo.

Uno studio recente condotto dalla Banca mondiale ha evidenziato come i popoli indigeni costituiscano una risorsa fondamentale per il territorio a cui appartengono: sono essi, infatti, a garantire in molte zone contro la deforestazione, con la loro sola presenza all'interno di aree protette in cui vivono e dalle quali non si allontanano, se non a costo di soffrire essi stessi. La determinazione dei nativi americani che si sono opposti al progetto di un'autostrada che avrebbe attraversato il Parco Nazionale e Territorio Indigeno Isiboro Secure, ad esempio, ha recentemente salvato parte del territorio boliviano da un'aggressione che ne avrebbe messo in serio pericolo la biodiversità.

Eppure, sono ancora tantissimi gli indigeni che, in nome della conservazione di alcuni territori, vengono sfrattati dalle abitazioni in cui hanno speso tutta la loro esistenza, costretti ad allontanarsi perdendo, così, oltre al suolo natio, anche il senso di appartenenza e il contatto diretto con quello che ha determinato la propria cultura: questo a dispetto del fatto che l'80% delle aree protette si trovi nelle terre in cui vivono gli autoctoni, come riportato da Survival, l'organizzazione che da anni sostiene i popoli tribali di tutti i continenti tramite campagne di sensibilizzazione.

Alcuni di essi sono l'ultimo baluardo contro deforestazione selvaggia e distruzione dell'habitat di molte specie, sono i popoli tribali che, molto spesso, non godono di alcun diritto sul proprio territorio e vivono un'esistenza sotto minaccia.

Finalmente, negli ultimi tempi, gli esperti del settore stanno iniziando a comprendere il profondo valore che avrebbe il riconoscimento del diritto dei popoli indigeni a rimanere nei propri territori, anche se molte associazioni ambientaliste ancora si dichiarano piuttosto prudenti e sospettose: questi uomini che a noi appaiono immutabilmente fuori dal tempo, diversi oltre ogni umana immaginazione, sono quelli che potrebbero salvare l'ambiente di un mondo distrutto dalle logiche del mercato e del profitto occidentali, corroso dall'inquinamento e dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse.

Recentemente, ad esempio, il Governo della Tanzania ha riconosciuto «dei titoli ufficiali di proprietà» alla tribù minore degli Hadza; il Commissario aggiunto ai territori della zona nord, Doroth Wanzala, ha sottolineato come l'iniziativa nasca dalla volontà di assicurarsi che «gli ultimi cacciatori/raccoglitori del nostro paese non siano più minacciati da invasori avidi di terra, specialmente nell’attuale corsa all’accaparramento di terre».

Alcuni di essi sono l'ultimo baluardo contro deforestazione selvaggia e distruzione dell'habitat di molte specie, sono i popoli tribali che, molto spesso, non godono di alcun diritto sul proprio territorio e vivono un'esistenza sotto minaccia.

Tuttavia, non per tutti i popoli tribali si stanno registrando dei passi avanti significativi come per gli Hadza: mentre alcuni subiscono la quotidiana minaccia del furto dei territorio e della deforestazione, gli autoctoni sono costretti a vedersela spesso anche con l'attività mineraria estrattiva, con dighe, stabilimenti industriali e grandi strade costruite senza che venga chiesto il loro parere, con epidemie di malattie che non hanno mai fronteggiato, quali il morbillo.

Infine, il dato più allarmante, arriva da quegli stati il cui governo perseguita letteralmente le tribù locali, compiendo dei veri e propri genocidi. Accade agli Jumma del Bangladesh, vittime di ogni forma atrocità dal 1971 al 1997, anno in cui, grazie ad un accordo di pace, la situazione è diventata meno tesa; e agli abitanti della Papua Occidentale, da quando, nel 1963, metà isola venne occupata dall'Indonesia: da allora arresti arbitrari, violenze, stupri, torture, assassinii sono stati compiuti dall'esercito indonesiano contro i papuasi, considerati come animali dai militari asiatici.

Ci sono infine le popolazioni che, vivendo nei più remoti angoli della terra, non sono mai entrate in contatto con il mondo esterno: sebbene destino la lecita curiosità di chiunque, il miglior modo per preservarne l'esistenza è fare in modo che il loro isolamento possa proseguire naturalmente. Essi infatti potrebbero facilmente essere sterminati da malattie verso cui non hanno sviluppato difese immunitarie, anche attraverso abiti ed oggetti: auguriamoci, allora, che la prudenza sia massima, giacché è anche, e soprattutto, da loro che dipende la sopravvivenza del nostro pianeta.

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