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Opinioni

Come è andato il semestre italiano di Presidenza Ue

Si è chiuso con un contestatissimo discorso di Matteo Renzi a Strasburgo il semestre italiano di Presidenza dell’Unione Europea: proviamo a fare un primo, parzialissimo, bilancio.
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Non è semplice provare a fare un bilancio del semestre italiano di Presidenza dell’Unione Europea, soprattutto in tempi in cui ogni minima valutazione del merito delle questioni è letta in chiave strumentale e partigiana, in un senso o in un altro. E non è semplice provare a stilare un bilancio dell’operato di una Presidenza che aveva caricato il semestre di aspettative enormi e di un valore “politico” probabilmente fuori luogo.

In teoria, nessuno poteva nascondersi le difficoltà di gestire una fase così complessa (al netto del trionfalismo con il quale parte dei media ha raccontato le epiche gesta del nostro Presidente del Consiglio in Europa), soprattutto considerando il fatto che il semestre (intervallato in sostanza dal mese di agosto) cadeva nel passaggio di consegne fra la vecchia e la nuova Commissione e con le elezioni tedesche che avrebbero (molto in teoria) potuto rappresentare un fattore di instabilità. Il limite maggiore di Renzi è stato dunque quello di aver posto l’asticella notevolmente in alto, dando a tratti l’impressione di una “missione cruciale” per il futuro del nostro Paese.

Intendiamoci, la lettura “fallimentare” della Presidenza italiana è pura propaganda, al pari della lettura di segno opposto (e per un bilancio sensato occorrerà attendere i prossimi mesi). Lasciando per un attimo da parte la questione Esteri (con la nomina di Federica Mogherini a lady Pesc), invece, ci siamo dovuti accontentare di piccoli aggiustamenti di rotta, con il timone saldamente in mani tedesche / conservatrici (non sfuggirà la convergenza su Juncker e la maggioranza popolare in Parlamento). Nota Zatterin su La Stampa:

Dal punto di vista tecnico, la presidenza italiana ha prodotto degli accordi legislativi importanti nel settore Ecofin (fine del segreto bancario, clausola anti abusi contro la doppia non imposizione fiscale delle imprese multinazionali, accordo su antiriciclaggio) e il ministro Padoan, considerato da tutti affidabile e autorevole, ha spinto molto a livello politico sulla priorità per gli investimenti. Fatto. 

Più di un qualche riflessione meriterebbe però il piano Juncker (considerando però i limiti dell’azione italiana), che è ben lontano da quella “rivoluzione” di cui si era parlato: come nota il nostro analista Luca Spoldi, “dei 315 miliardi di “investimenti” del piano Junckers 294 miliardi dovranno dunque essere trovati nei bilanci di aziende private, che dovranno essere convinte che valga la pena effettuare tali investimenti, ipotesi non molto probabile in paesi come l’Italia che continuano a soffrire di una crisi da domanda”.

La parola chiave è stata “flessibilità” e non ci sono dubbi sul fatto che il nostro Governo abbia spinto in quella direzione. Ma, citiamo ancora Zatterin, bisognerà attendere gli effetti di questa pressione: “Se effettivamente, come si può credere, la Commissione proporrà di scomputare dalle pagelle sul bilancio i progetti cofinanziati nell’ambito del Piano Juncker allora sarà una buona vittoria per l’Italia (e per l’Europa)”. Vedremo, per il momento l’immagine dello scolaro che ha fatto i compiti (incluso il controverso e discutibilissimo Jobs Act) non è necessariamente da celebrare.

Per quel che concerne l'immigrazione, il rafforzamento di Frontex è stato accolto come una notizia positiva pressoché da tutte le parti politiche. Sommessamente ci limitiamo a segnalare come ciò si sia tradotto in un peggioramento sul versante italiano, con la "legittimazione" della chiusura di Mare Nostrum e dell'avvio di Triton, operazione molto meno incisiva.

Da più parti si è segnalato invece come il Governo abbia fallito nella tutela e valorizzazione del Made in Italy, soprattutto dal punto di vista dei prodotti alimentari. In questo senso la critica delle opposizioni ha avuto buon gioco, nel ricordare che la mancata etichettatura obbligatoria può costare miliardi di euro alle imprese italiane.

Sul piano della comunicazione, uno dei punti di forza dell’esecutivo guidato da Matteo Renzi, il bilancio è abbastanza deludente. Basta considerare la povertà del sito ufficiale “Italia2014.eu” e, ad esempio, soffermarsi sul lavoro di “infografiche” realizzato per rendicontare il lavoro svolto. Accanto alla parte divulgativa (vi siete mai chiesti cosa significa la parola Erasmus? Oppure, sapete quali sono gli hashtag del semestre e perché la bandiera della Ue ha 12 stelle?), c’è qualche minimo riferimento a questioni come l’etichettatura alimentare (tasto dolente) e al risparmio energetico nelle abitazioni dell’Unione Europea. Poca roba, direbbe qualcuno.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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