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Opinioni

Che ne sarà di Matteo Renzi

La partecipazione di Renzi alla trasmissione di Floris segna un punto importante nella parabola politica del segretario del PD: snobbato da Di Maio, emarginato da Berlusconi, attaccato politicamente dai giornalisti, minato dalle tensioni interne al PD e provato dalle sconfitte elettorali. E adesso?
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La partecipazione di Matteo Renzi alla puntata di DiMartedì è stata per molti versi una vera e propria anomalia, peraltro premiata dall’Auditel. Come noto, Renzi si è recato ugualmente negli studi di La7, malgrado il passo indietro di Luigi Di Maio, che lo aveva sfidato, gli aveva imposto la data, la rete televisiva e il conduttore.

La mossa del candidato grillino alle prossime elezioni, sensata o meno (ne abbiamo parlato lungamente qui), aveva di fatto obbligato Matteo Renzi a giocare “in trasferta”, su una rete considerata (a torto o a ragione) nemica e nel salotto di un conduttore con il quale in passato aveva avuto più di uno screzio. Con l’aggiunta di tre giornalisti notoriamente molto critici nei confronti del segretario del Partito Democratico. E, per completare, nel giorno in cui entrambi i capigruppo in Parlamento, Rosato e Zanda, avevano cominciato le grandi manovre per “convincerlo” a fare un passo indietro.

Il dibattito ne ha risentito, o meglio, non c'è stato proprio. Renzi ha provato a snocciolare dati e rivendicare i successi della sua azione a Palazzo Chigi, concedendo una buona dose di autocritica e ammettendo il momento decisamente poco esaltante del PD. I giornalisti hanno pensato di dover sostituire Di Maio, fornendo una prova dimenticabilissima, tra comizi improvvisati, domande improbabili e fatti citati un po' a casaccio. Il salotto di Floris, insomma, ha certificato che sono finiti i tempi in cui i giornalisti taggavano "Matteo" sui social network perché non si perdesse l'ultima loro chinata di capo.

Renzi non ha fatto un figurone, diciamolo subito. Considerando il contesto, però, è riuscito a mettere il primo tassello di una operazione ambiziosa, che consiste nel ribaltare completamente il paradigma che lo dipinge come a capo di un gruppo di giovani arroganti e presuntuosi, che col loro atteggiamento hanno distrutto un partito, isolandolo nei palazzi e nel Paese. Lo stato d’assedio in cui si dirà Renzi è, in tale ottica, il primo passaggio per ricompattare il fronte e aggregare nuove forze intorno alla sua figura di leader “che non ha niente da nascondere”, che ora viene nuovamente “attaccato dai poteri forti” dopo essere stato emarginato dai “professionisti della politica”. Ri-costruire una comunità a partire dai presupposti attuali non è semplicissimo, certo, ma questa situazione consente a Renzi di ri-creare la condizione base del suo modus operandi: il conflitto. Come avemmo modo di scrivere nel momento di riflusso dell’ondata renziana post elezioni europee, Renzi ha capito prima degli altri che il conflitto come pratica politica per eccellenza, gli “consente di sorvolare sulle questioni di merito, spinge alla polarizzazione, azzera i distinguo, banalizza le differenze, amplifica la personalizzazione della politica”, colma il vuoto della proposta e l’assenza di prospettive concrete a brevissimo termine.

Del resto, se c’è una caratteristica del renzismo è quella di agitare e creare il conflitto come strumento per aprirsi strade altrimenti blindate, secondo la vecchia logica dell’individuazione del nemico come meccanismo di aggregazione del consenso. Nel momento in cui Di Maio sceglie di negare a Renzi la possibilità di utilizzare il M5s come “l’altro” e Berlusconi prova a ricompattare il fronte moderato, al segretario del PD verrebbe a mancare anche l’opzione di presentarsi come “unico argine al populismo”. Dunque, per uscire dal pantano, ha bisogno di qualcosa in più, portando il livello dello scontro al massimo e cercando di rifuggire dal gentilonismo che sta per impadronirsi del Partito Democratico e che si fonda sull'idea dell'ineluttabilità del pareggio elettorale.

Cosa ci aspetta, dunque? In parte lo ha già anticipato Renzi, nella enews con cui ha commentato i risultati in Sicilia e la marcia indietro di Di Maio. "Sono mesi che cercano di mettermi da parte, ma non ci riusciranno nemmeno stavolta […] Qui non si molla di un centimetro. E anzi l'Ottava edizione della Leopolda avrà come simbolo L8: lotto per…", scrive Renzi. Tradotto: io sono qui, le primarie non posso perderle e la prossima campagna elettorale la faccio col coltello fra i denti. La mossa della disperazione, forse. L'ennesimo azzardo, forse. L'estremo tentativo di rianimare una comunità sfiduciata e depressa, forse.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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