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Calabria, la ‘ndrangheta gestiva i rifiuti: Fanghi industriali diventavano fertilizzanti

Per la Dda di Reggio Calabria, la cosca dei Piromalli aveva da tempo messo le mani nella costruzione e nella gestione dell’unico impianto di termovalorizzazione in Calabria, che si trova appunto nell’area di Gioia Tauro, ma anche nel settore della depurazione delle acque.
A cura di Antonio Palma
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Una vasta operazione antimafia, condotta dagli uomini della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, è in corso da questa mattina all'alba contro un gruppo di persone ritenute affiliate o legate alla ‘ndrangheta e in particolare attive nel controllo criminale del circuito di smaltimento e trasformazione dei rifiuti nella Regione. In manette sono finte sette persone, destinatarie di  un fermo di indiziato di delitto e accusate di essere affiliate o comunque collegate alla potente cosca dei Piromalli di Gioia Tauro.

I sette dovranno ora rispondere a vario titolo dei reati di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia di beni. Nell'ambito dell'operazione, denominata Metauros e condotta dagli agenti della direzione investigativa antimafia  calabrese, eseguito anche il sequestro preventivo d'urgenza di quote azionarie di società operanti nel settore della depurazione e del trattamento delle acque, trasporto e compostaggio di rifiuti speciali non pericolosi.

Secondo l'accusa, la più grande cosca di ‘ndrangheta da tempo aveva messo le mani sull’unico termovalorizzatore presente in Calabria, che si trova proprio a Gioia Tauro, nell'area del porto, ma anche nel settore della depurazione delle acque.  In particolare l'accusa è di aver cercato di controllare man mano le società che nel tempo hanno gestito la struttura di trasformazione dei rifiuti sempre attraverso un meccanismo che gli inquirenti definiscono “un consolidato sistema di sottoposizione ad attività estorsive” ai danni delle aziende che infine venivano inglobate anche attraverso prestanome.

Fanghi industriali diventavano fertilizzanti

Inquietante  quanto emerso dalle indagini. Attraverso la società che si occupa della depurazione delle acque a Gioia Tauro, secondo l'accusa, gli arrestati permettevano che i fanghi industriali sulla carta diventassero fertilizzanti. In pratica i rifiuti speciali venivano trasformati in merce rivendibile da parte di imprenditori collusi. In manette infatti sono finiti non solo capi e gregari della cosca ma anche imprenditori che avrebbero favorito gli affari illeciti dell'organizzazione criminale. "Abbiamo scoperto che i fanghi industriali che dovevano essere smaltiti venivano venduti a imprese compiacenti che li trasformavano in fertilizzanti. Si tratta di un’operazione estremamente pericolosa per la salute dei cittadini, le cui ricadute sono ancora in via di valutazione” ha spiegato il procuratore capo della Dda reggina, Federico Cafiero de Raho.

Grazie ad una serie di sovrafatturazioni o fatturazioni per operazioni inesistenti, le ditte compiacenti aumentavano poi costi reali mettendo insieme la quota destinata al clan. A pagare erano sempre i cittadini con tasse onerose per mantenere un servizio che costava molto meno ma diventato un bancomat della cosca. "Ci siamo trovati di fronte a imprese che magari in passato erano state sequestrate ma sono riuscite a sfuggire alle maglie della giustizia. Non appena le misure venivano annullate, ricominciavano a fare esattamente quello che veniva loro imputato e non si è riusciti a provare. Si tratta di un dato preoccupate e che deve far riflettere” ha commentato procuratore capo della Dda reggina, Federico Cafiero de Raho, concludendo: "La verità è che la ‘ndrangheta in questa regione controlla tutto, quindi attività del genere non potevano sfuggire. Anche perché il Calabria la raccolta e lo smaltimento rifiuti sono stati gestiti per anni in regime di emergenza e questo ha garantito controlli nella migliore delle ipotesi più blandi".

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