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Bologna: suicida in carcere Stefano Monti, accusato dell’omicidio del buttafuori Valeriano Poli

Una settimana prima della sentenza Stefano Monti, cinquantanove anni, si è tolto la vita nel carcere della Dozza a Bologna. Rischiava l’ergastolo per l’assassinio di Valeriano Poli, buttafuori ucciso venti anni fa. Monti era stato arrestato a giugno di un anno fa quando il “cold case” aveva avuto una svolta investigativa.
A cura di Susanna Picone
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Si è suicidato in carcere Stefano Monti, cinquantanovenne arrestato nel giugno scorso con l’accusa di essere l’omicida del buttafuori Valeriano Poli ucciso il 5 dicembre 1999 a due passi da casa, alla Foscherara, Bologna. Monti, finito dietro le sbarre diciannove anni dopo il delitto, si è tolto la vita impiccandosi nel carcere della Dozza di Bologna. A dar notizia del suicidio è stato il Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria (Sappe). “L'uomo è riuscito a portare a termine il suo tragico gesto nella stanza del bagno della cella dove era detenuto – hanno fatto sapere il segretario generale aggiunto del Sappe e il segretario nazionale -. Purtroppo non è stato possibile portarlo in salvo, come spesso avviene”.  Fra qualche giorno, il prossimo 26 giugno, sarebbe arrivata la sentenza del processo per omicidio nel quale il pm Roberto Ceroni aveva chiesto per Stefano Monti l'ergastolo per il delitto Poli. Monti secondo il pm non aveva dato segni di ravvedimento, non aveva offerto risarcimenti ai familiari della vittima e aveva cercato di depistare le indagini e per questo aveva chiesto che non gli fossero concesse le attenuanti generiche.

L'avvocato di Monti: "Non ha retto alla pressione di un processo così aggressivo" – Secondo l’avvocato Roberto D'Errico, che difendeva Monti, il suicidio “è una tragedia che conclude una vicenda processualmente complessa”. Il legale ha parlato di un sessantenne incensurato “che per la prima volta entra in carcere a 20 anni dai fatti contestati e che si proclama innocente” e che “evidentemente non ha retto alla pressione di un processo così aggressivo fin dalle sue prime battute da parte della Procura”. Dopo queste parole non si è fatta attendere la replica del procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato, secondo cui parlare di “aggressività” è parlare di “un qualcosa che non appartiene al modo di fare di questo ufficio”. Il pm ha parlato di un “argomento che non si può accettare perché contrario alla realtà dei fatti e che fa torto alla serietà della Corte di assise e del suo presidente”.

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