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Bersani, gli otto punti e l’unanimità: il Pd non cambia direzione

La direzione nazionale del Pd tenutasi ieri, più che risolvere problemi ha esemplificato ai massimi livelli la situazione di stallo nella quale il partito giace. Nel frattempo Renzi continua ad esserci senza esserci, come una spada di Damocle pendente sulla testa di Bersani.
A cura di Andrea Parrella
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PD - Direzione Nazionale

Unanimità, ti ho persa ieri ed oggi ti ritrovo già. Come si può leggere la situazione del Pd, apparentemente un partito solido che pare, al contrario, vivere di una carenza cronica di concretezza? Si legge appunto con l'unanimità. Da ieri pomeriggio la freddura più abusata sul web è quella di D'Alema che, analizzando il fallimento della sinistra, non ha fatto altro che un'autobiografia. E' una sentenza sulla quale, oltre che una risata, si dovrebbe fare una riflessione. Il partito è confuso, chiuso in se stesso, insicuro, come lo studente che ha dato una risposta sbagliata al docente ed ora crede di dire strafalcioni ogni qualvolta apra la bocca.

Ed inoltre le voci circolano, si sviluppano e vengono stravolte come in un telefono senza fili: il primo dice "Si deve provare un governo Bersani", l'ultimo si sente dire nell'orecchio "Daranno l'incarico a Renzi che farà l'alleanza col Pdl". E' proprio la molteplicità delle versioni impossibili che si sussegue negli ultimi giorni a rendere la situazione drammaticamente preoccupante, perché vuol dire che nessuna è corretta e che probabilmente si verificherà la media ponderata di tutte le ipotesi. Appunto Renzi, che dichiara in un'intervista a Il Messaggero: "Il modello di partito solido, vecchia maniera, è stato profondamente messo in discussione e questa è una parte del ragionamento su cui alle nostre primarie abbiamo solo cominciato a discutere". Non sono parole inutili, possono dire qualcosa sulla staticità che caratterizza questo Pd. Renzi viene adesso fuori come un problema, dopo esserlo stato e poi essersi "elettoralmente" scrollato di dosso questo appellativo.

Renzi è un problema per l'etichetta posta sulla sua testa, alla quale ha contribuito il Pd tutto, pressoché all'unanimità, per mezzo di quella spocchia, la superbia di credere che la base elettorale del Partito bastasse a renderlo forte e vigoroso, che altri elettori non servissero. Che è un po' la medesima logica adottata con Grillo, accusato di attrarre un agglomerato di persone ideologicamente composto da più anime, pure di destra, berlusconiano etc.etc. Insomma, Renzi è stato precluso dalla vittoria perché si è fatta passare l'idea, agli elettori tradizionali, che lui, con quell'intenzione di persuadere elettori di altri schieramenti, mostrasse un'inclinazione ideologica verso essi (vero o no che sia, la questione poco importa, si è trattato di una banale campagna mediatica tesa a screditarlo, che è riuscita a svilire pure una supposizione probabilmente attendibile). E questa cosa alla base di partito non può essere perdonata, perché è il motivo della sconfitta: l'elettorato non si crea e non si distrugge, semmai si convince. Credere che gli elettori degli altri schieramenti siano rincitrulliti irrecuperabili è un'operazione di distacco dalla realtà di proporzioni indicibili.

Non capire questo, continuare ad utilizzare Berlusconi come uno spauracchio, come il vetusto D'Alema ha appunto fatto, non è solo demodé e noioso, ma è anche tecnicamente errato, altezzoso e supponente. Direzione ParaDiso, ecco ciò che è stato l'incontro del pomeriggio di ieri, seguito in streaming, durato sette ore, di cui si ricorderanno solo le parole "otto punti", "Renzi", "Andato Via" e "discorso". Lascia tutti rigorosamente aperti i cinque scenari futuri riassunti ieri su questo giornale, dai quali ci saremmo augurati di poterne derubricare qualcuno in seguito alle decisioni assunte da Bersani&co. Invece, visti i presupposti, pure l'alleanza col Pdl, che Bersani ha escluso a priori, si ritiene pienamente possibile.

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