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Bari, la denuncia della mamma di un bimbo disabile: “Il prete non lo vuole in chiesa”

La donna, mamma di un bimbo di 10 anni affetto da un lieve ritardo cognitivo e deficit comportamentale ha raccontato la sua esperienza con il parroco della chiesa di Santa Croce: “Mi ha detto che sarebbe stato difficile farlo partecipare alla messa e al catechismo. Ha senso nel 2017 parlare di tematiche come queste, che si credevano superate?”.
A cura di Ida Artiaco
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Niente messa perché potrebbe rappresentare un problema, oltre che un disturbo, per gli altri bambini. È questa la denuncia della mamma di un bambino di 10 anni di Bari, affetto da un lieve ritardo cognitivo e deficit comportamentale, a cui il parroco della chiesa di Santa Croce, in via Crisanzio, nel cuore del quartiere murattiano della città pugliese, ha letteralmente chiuso le porte in faccia perché disabile. Il bambino, che frequenta la quarta elementare, come ha raccontato la madre al quotidiano La Repubblica, spesso ha l'esigenza di parlare ad alta voce o di alzarsi durante le lezioni, ma non hai mai avuto alcun problema a scuola o nella socializzazione con i compagni.

Tuttavia, non potrà partecipare al catechismo perché "la sua presenza non permetterebbe agli altri bambini di seguire la celebrazione della messa". Tutto è cominciato circa un anno fa, quando la madre del piccolo presenziò ad un incontro con altre mamme. In quell'occasione, il parroco le disse di voler parlare in privato con lei. Lasciò perdere, ma il mese scorso la donna si è trovata ad un bivio, dovendo iscrivere al corso anche il suo secondogenito di 8 anni. Il parroco le ha chiesto che tipo di problema avesse il bambino, sottolineando come non avesse alcun tipo di esperienza con soggetti del genere. "Mi ha chiesto se un'educatrice riuscirebbe a far capire a mio figlio il messaggio cristiano e se lui ha necessità di alzare la voce o alzarsi spesso. E che in quel caso – ha raccontato – sarebbe stato difficile farlo partecipare anche alla messa".

Non solo. Stando a quanto riferito dalla mamma, "quel sacerdote mi ha detto che dopo tanti anni è finalmente riuscito a costruire un folto gruppo di bambini: la presenza di mio figlio durante la funzione della domenica li avrebbe disturbati. Alla fine si è stretto nelle spalle, dicendo che non saprebbe proprio come comportarsi. Sono disorientata. Ha senso nel 2017 parlare di tematiche come queste, che si credevano superate? E lui, parroco social, è autentico o ricoperto di una patina di ipocrisia? Negare i sacramenti a mio figlio è come negare l'estrema unzione".

La risposta del parroco è arrivata attraverso una lettera scritta, nella quale si legge che "è noto il rinnovato impegno che la nostra comunità parrocchiale profonde nella attenzione e nella cura per la preparazione dei bambini ai sacramenti, con la partecipazione e la collaborazione delle famiglie. Nel caso concreto si è data piena adesione alla richiesta di preparazione del piccolo, pur essendo appartenente ad altra parrocchia, e nessuno ha voluto respingerlo o negargli i sacramenti: ci si è limitati (doverosamente, anche e soprattutto nell'interesse del minore) a richiedere una particolare collaborazione alla famiglia, chiedendo anche di fornire delle linee guida comportamentali da tenere in caso di manifestazioni acute (linee che soltanto la famiglia può fornire): lo spirito di tale richiesta è stato probabilmente equivocato".

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