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Uccise l’ex fidanzata a coltellate, ora scrive ai genitori per “scusarsi”

L’omicida di Lucia Bellucci, alla vigilia del processo di appello scrive ai genitori della vittima.
A cura di Redazione
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Due anni fa il corpo senza vita di Lucia Bellucci, ragazza poco più che trentenne di Pinzolo, in provincia di Trento, veniva ritrovato senza vita nel bagagliaio dell’auto del suo ex fidanzato, un avvocato penalista di Verona. L’uomo aveva perseguitato la donna a lungo, mandandole migliaia di sms, postandole selfie con la pistola alla tempia e minacciando di togliersi la vita se lei non fosse tornata con lui. Poi, dopo averla convinta a cenare con lui nei pressi di Madonna di Campiglio la portò in una strada appartata e le tolse la vita con una coltellata.

In primo grado i giudici non hanno avuto dubbi, condannando l’uomo a 30 anni di carcere per omicidio volontario: Lucia fu colpita con una coltellata al cuore perché, come ebbe modo di dire il suo carnefice, “a strangolarla ho visto che soffriva troppo”. Ora a pochi giorni dall’avvio del processo di appello, che comincerà il 15 giugno prossimo, l’omicida ha deciso di prendere carta e penna e scrivere alla famiglia di Lucia, con una lettera di 26 righe riportata dal Corsera.

E alcuni passaggi della missiva, in effetti, lasciano senza parole:

«Possa in questo momento attestarvi il compimento, imperfetto ma avviato, dell’uscita da una condizione minorata, al cui interno e per la quale ho agito e dalla quale sono stato agito». «Condizione minorata», in pratica l’autogiustificazione. La prima riga dice: «Stimati Signori». Chiaro il finale: «Con profonda vergogna». Pia l’ha letta, poi ha chiamato sua figlia Elisa: «Non ci ho capito niente. Tu che dici?». E lei: «Dico che a pochi giorni dall’appello mi sembra la disperata ricerca di uno sconto di pena».

Al taccuino di Giusi Fasano, la madre di Lucia “risponde” all’assassino della figlia: “Sai cosa ti dico? Io non ti odio. E non ti odio per il rispetto che devo al ricordo di mia figlia, perché lei ti aveva tanto amato. Però mi fai pena. Ci puoi spedire anche tremila lettere ma non credere mai che per noi le tue parole valgano come pentimento profondo. Se fossi davvero pentito rinunceresti a difenderti e diresti “trent’anni mi hanno dato e trent’anni voglio farmi perché è giusto così”. Sei capace di fare questo? Fallo, e poi sapremo che sei davvero pentito”.

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