Uccise il marito violento, tribunale manda gli atti alla Corte costituzionale per concedere attenuanti
La Corte di Assise di Appello di Torino ha sollevato per la seconda volta in pochi giorni una questione di legittimità costituzionale della norma che impedisce di concedere la prevalenza di alcune attenuanti a chi, per difendersi da violenze e soprusi in famiglia, compie un omicidio.
Il caso è quello di Agostina Barbieri, la donna che nel luglio del 2021 uccise il marito Luciano Giacobone a Borghetto Borbera (Alessandria). L'imputata aveva deciso di "porre fine a un incubo", come raccontò alle autorità dopo l'arresto, sedando il consorte con un sonnifero per poi strangolarlo con i lacci delle scarpe.
Dal '90 era sposata con la vittima e con la coppia viveva anche il figlio di 29 anni, che quella sera però non era in casa. Negli ultimi tempi i rapporti con il marito erano peggiorati e le liti che spesso sfociavano nella violenza fisica. Secondo quanto raccontato dalla donna, Giacobone era solito maltrattare anche il figlio. Ad avvertire i carabinieri era stata lei stessa, spiegando di aver compiuto l'omicidio perché esasperata dalle violenze. Il figlio di 29 anni, ascoltato nei mesi successivi insieme ad altri testimoni, confermò tutto. La donna fu condannata a 4 anni e dieci mesi di reclusione in primo grado dopo il riconoscimento della legittima difesa putativa.
Una questione sulla legittimità costituzionale analoga era stata sollevata la settimana scorsa per il caso del 22enne Alex Pompa che nel 2020 uccise il padre per difendere la madre nel corso dell'ennesima lite domestica a Collegno (Torino). Nel caso di Barbieri, la Procura Generale aveva concordato una pena di 6 anni, due mesi e 20 giorni con l'applicazione dell'attenuante per aver agito per motivi di particolare valore morale.
Con le norme in vigore introdotte dal "codice rosso", non è possibile concedere la prevalenza delle attenuanti generiche e di quelle della provocazione (che garantiscono una condanna più bassa) rispetto all'aggravante del vincolo di parentela. Da qui la decisione dei giudici torinesi di trasmettere le carte alla Corte costituzionale e di sospendere il processo.