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Stupro di Firenze, la Cassazione conferma la condanna dell’ex carabiniere Costa

Confermata la condanna a 4 anni per l’ex carabiniere Pietro Costa accusato di violenza sessuale. La violenza avvenne, su due ragazze statunitensi a Firenze per motivi di studio, il 7 settembre 2017. Già condannato anche il collega Marco Camuffo.
A cura di Biagio Chiariello
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Pietro Costa
Pietro Costa

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 4 anni di reclusione per l'ex carabiniere Pietro Costa, accusato di violenza sessuale. Lo stupro, su due ragazze statunitensi di 19 e 21 anni, avvenne a Firenze il 7 settembre 2017 mentre Costa era in servizio al radiomobile di Firenze. Lo scorso aprile era già stato condannato con sentenza definitiva a 4 anni e due mesi anche l'ex carabiniere Marco Camuffo (aveva scelto il rito abbreviato) che era insieme a Costa la sera della violenza.

Il verdetto della Suprema Corte per Costa conferma la sentenza emessa dalla Corte di appello di Firenze il 5 aprile 2022. In primo grado era stato condannato a 5 anni e mezzo e poi in appello la pena era stata ridotta.

Stando alle ricostruzioni, Camuffo e Costa la sera del 7 settembre 2017 si sarebbero offerti di riportare a casa le studentesse, che avevano trascorso la serata in un locale della zona di Piazzale Michelangelo. Era intervenuti al locale per sedare un rissa. La violenza sarebbe avvenuta proprio nello stabile di Borgo Santi Apostoli, in pieno centro, dove abitavano le due giovani, a Firenze per motivi di studio, che avevano bevuto (avevano un tasso di alcol pari a 1,68 e a 1,59). Secondo i documenti dei due militari si perdono le tracce per circa un'ora: i due si allontanano da Borgo Santi Apostoli intorno alle 3:00 e rientrano in contatto con la centrale alle 4:00.

Le ragazze spiegarono di aver "accettato il passaggio di quei due uomini in divisa perché si fidavano di loro".

Nella prima sentenza della Corte d'Appello di Firenze del 21 febbraio 2020 si legge "La ricostruzione per quanto fedele e congruente dei cinque, sei minuti incriminati – scrivono i giudici – si può ricondurre alle iniziative parallele dei due militari che, in un corto circuito mentale e presi da istinti normalmente controllabili, hanno messo a rischio la loro stessa carriera nell’arma oltre a commettere un reato dallo stesso Costa definito mostruoso".

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