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Rivolte nelle carceri italiane durante lockdown: “I boss volevano mettere lo Stato in un angolo”

Le misure straordinarie previste dai provvedimenti anti covid, sarebbero stati solo il pretesto per scatenare una rivolta su larga scala studiata a tavolino dai boss della criminalità organizzata per mettere lo Stato in un angolo e quindi spingerlo a concedere molte più libertà. È questa l’ipotesi che si fa sempre più largo nell’inchiesta sulle rivolte di marzo che hanno portato alla morte di 13 detenuti e al ferimento di centina di poliziotti e reclusi.
A cura di Antonio Palma
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Le violente rivolte scoppiate nelle carceri italiane in piena pandemia da coronavirus non erano solo il frutto dell'esasperazione dei detenuti alle prese con limiti sempre più stringenti per evitare contatti ma anche una occasione studiata a tavolino dai boss della criminalità organizzata per mettere lo Stato in un angolo e quindi spingerlo a concedere molte più libertà. È questa l'ipotesi che si fa sempre più largo nell'inchiesta sulle rivolte di marzo che hanno portato alla morte di 13 detenuti e al ferimento di centinaia di altre persone tra reclusi e forze dell'ordine chiamate a intervenire per sedare i tumulti. Come racconta una inchiesta di Repubblica, infatti, le prime risultante investigative raccolte da carabinieri e polizia avrebbero confermato il ruolo delle mafie nel gestire la situazione.

Secondo gli inquirenti, le misure straordinarie come il blocco dei colloqui con i congiunti e la possibilità di interrompere permessi premio e il regime di semilibertà previsti dai provvedimenti anti covid, sarebbero stati solo il pretesto per scatenare una rivolta su larga scala.  In particolare a muoversi sarebbero stati i boss dei vari gruppi criminali pugliesi e campani,  solo in un secondo momento ci sarebbe stato l'intervento anche sei siciliani mentre i calabresi avrebbero assunto una posizione attendista. Il fatto che a muovere i fili della protesta potessero esserci i boss e le mafie lo confermerebbero la massiccia partecipazione alle rivolte e soprattutto il passaparola tra i vari istituti penitenziari coinvolti.

Del resto i numeri di quello che è caduto sono imponenti drammatici. Secondo un documento inedito del Garante nazionale dei detenuti e rivelato da Repubblica, infatti, alle proteste hanno partecipato bene 49 istituti e oltre 10mila detenuti, un sesto della popolazione carceraria italiana. Oltre ai 13 morti ci contato numerosi feriti e danni stimati in 12 milioni di euro. Anche l'identità delle vittime, secondo gli inquirenti, dimostra che spesso i detenuti erano solo carne da macello in mano a chi realmente gestiva la rivolta. In particolare detenuti con dipendenze sarebbero stati sfruttati per ottenere i benefici che da tempo chiedevano. Benefici che in parte sarebbero poi arrivati e su cui ora  si stanno concentrando le indagini.

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