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Rimase paralizzato dopo lo schianto in cui morì la fidanzata, giovane muore dopo 5 anni di agonia

Abdessamad Fahmi viveva a Conegliano Veneto, è morto venerdì scorso in Marocco, suo Paese d’origine. Il 12 maggio 2018 era rimasto tetraplegico a seguito di un gravissimo incidente stradale nel quale era morta la fidanzata appena 18enne.
A cura di Biagio Chiariello
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Abdessamad Fahmi, 28enne di Conegliano Veneto, è morto venerdì, 5 maggio, nel pomeriggio in Marocco, il suo Paese d'origine. Da cinque anni la sua vita era cambiata per sempre. Il 12 maggio del 2018 il ragazzo era stato coinvolto in un gravissimo incidente a Colfosco di Susegana, che costò la vita alla sua fidanzata, la 18enne Martina De Favari, morta praticamente sul colpo. Abdessamad Fahmi era rimasto paralizzato dal collo in giù.

È un sabato sera. La Volkswagen Polo con a bordo i due ragazzi e altri due amici si trova sulla Pontebbana. Al volante c'è un connazionale di Abdessamad. All'improvviso invade la corsia opposta e centra in pieno una altra macchina, una Seat Altea con 5 persone a bordo. L'impatto è devastante.

Martina, seduta sui sedili posteriori, viene sbalzata dal veicolo, morendo sul colpo a causa delle gravissime lesioni riportate. I due giovani seduti davanti restano entrambi incastrati tra le lamiere, con l'allora 23enne che riporta lesioni irreparabili alla colonna vertebrale e resta tetraplegico, mentre la ragazza seduta a fianco alla 18enne si salva miracolosamente, solo con alcune lesioni non gravi.

L'amico al volante si era ripreso dopo oltre un mese di coma e un anno dopo aveva patteggiato due anni di reclusione per omicidio colposo.

Le conseguenze di quella drammatica sera accompagneranno Abdessamad per il resto dei suoi giorni: prima dell'incidente aveva trovato un lavoro come bracciante agricolo. Venerdì si è spento a causa delle complicazioni di una febbre altissima: il giovane si trovata in Marocco con la famiglia, per il Ramadan e incontrare la sorella.

"Il caso di Abdessamad è il più tragico in cui mi sia mai imbattuto" ammette Andrea Dan, presidente dell'associazione Manuela sicurezza stradale, che fin da subito aveva preso a cuore le sorti del giovane. "Per lui il corpo era diventato una gabbia. Aveva bisogno di assistenza continua: per nutrirsi, lavarsi e fare le cose più elementari ma è sempre rimasto lucido – racconta Dan al Gazzettino -. Le cure ricevute e la vicinanza degli amici lo avevano aiutato a non arrendersi"

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