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Perdonaci Cloe, perché abbiamo calpestato la tua dignità e non abbiamo difeso il tuo diritto alla libertà

La morte di Cloe Bianco apre una ferita enorme nella coscienza di tutti noi e ci ricorda che le libertà individuali passano innanzitutto da quelle sociali. Nessuno ha difeso il diritto al lavoro di una donna transgender, relegandola ai margini della società, vittima della transfobia.
A cura di Chiara Ammendola
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Quando, tragicamente, non si sa cosa fare nella vita. L’omologazione che uccide, la libertà che è vita. Scriveva così sul suo blog nel 2015 Cloe Bianco, la professoressa transgender morta suicida lo scorso 10 giugno a Belluno. Sul diario virtuale a cui in questi anni ha affidato i suoi pensieri e tormenti, Cloe ha parlato spesso di libertà, quella di poter essere se stessi ma soprattutto di vivere la propria vita.

Una libertà che a lei non è stata concessa perché quando nel 2015 ha deciso di mostrarsi anche al lavoro per chi era realmente, semplicemente indossando una gonna e un paio di tacchi, è stata ripudiata, come si fa con i figli che disattendono le aspettative e ai quali viene tolto ogni diritto. A Cloe è stato tolto il primo diritto fondamentale nel nostro paese, quello al lavoro. E così dopo essere stata costretta a rinunciare al suo ruolo di insegnante per il quale aveva studiato e si era formata, Cloe è stata demansionata e assegnata a lavori di segreteria, così da non avere a che fare con gli studenti, come se fosse uno spettacolo indegno, come se non fosse abbastanza.

Una sconfitta per una donna transgender che chiedeva solo il diritto alla libertà, ma che invece è stata emarginata, uccisa da chi le ha tolto la dignità di un lavoro, uccisa dalla transfobia di chi l'ha ritenuta un pericolo per i suoi studenti, turbati, come ha scritto il presidente del tribunale del Lavoro di Venezia al quale Cloe ha fatto ricorso dopo il demansionamento, perché l'outing in così breve tempo, senza preparare adeguatamente le scolaresche, non è stato "responsabile e corretto".

Cloe Bianco
Cloe Bianco

Cloe è stata uccisa dalla transfobia, è vero, quella che il nostro sistema legislativo continua a non voler punire. Ma il suicidio di Cloe fa emergere un altro problema, che è quello del riconoscimento dei diritti e delle battaglie della comunità LGBTQ+ che in Italia sembrano arenati e relegati nella sfera delle libertà individuali. La verità è che i diritti individuali passano anche e soprattutto dai diritti sociali. E chi tutela il diritto al lavoro di una donna transgender? Le istituzioni devono fornire alla comunità transgender le chiavi per difendere i propri diritti civili, a partire dal proprio posto di lavoro, di difenderlo dagli attacchi transfobici della società

La morte di Cloe Bianco ci dimostra che no, in Italia non siamo tutti uguali, e che sì, purtroppo siamo ancora un paese transfobico dove il riconoscimento dei diritti delle persone LGBTQ+ esiste se riferito alla sfera individuale. Ma soprattutto la triste storia di Cloe ci ricorda che le battaglie individuali passano per le lotte sociali e che i diritti individuali e i diritti civili sono la stessa cosa. E allora perdonaci Cloe perché abbiamo calpestato la tua dignità e non abbiamo difeso il tuo diritto alla libertà.

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