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Opinioni

Perché molestie e violenze contro le donne non si pesano dalle denunce, spiegato agli alpini

Non c’è bisogno di una denuncia perché le molestie e le violenze contro le donne vengano prese sul serio. Una risposta all’associazione nazionale alpini e a chi la pensa come loro.
A cura di Jennifer Guerra
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Foto via Non una di meno Rimini (Facebook)
Foto via Non una di meno Rimini (Facebook)

Dopo le centinaia di segnalazioni raccolte dal gruppo femminista Non Una Di Meno Rimini e un’assemblea pubblica nella piazza della città, finalmente l’Italia si è accorta dei casi di molestie e violenze sessuali avvenuti durante l’adunata nazionale degli Alpini a Rimini. Non è la prima volta che il raduno dei militari si trasforma in un’occasione di molestie e violenze verbali e fisiche, ai danni delle donne che lavorano in ristoranti e alberghi, ma anche di semplici passanti. Come accade sempre di fronte ai casi di denuncia di molestie, è cominciata la corsa alla minimizzazione: nelle stesse ore in cui decine di donne raccontavano le violenze subite, politici di destra e di sinistra esaltavano il corpo degli Alpini e i difensori della tradizione parlavano di “goliardate”. L’Associazione Nazionale Alpini (Ana) ha diffuso un comunicato, intitolato “Presunte molestie, senza denunce”, in cui definisce le violenze “fisiologici episodi di maleducazione”.

Ed è infatti questo il refrain di queste ore: nonostante le numerose testimonianze, fino ad ora è stata presentata una sola querela contro ignoti da parte di una donna di 26 anni. La mancanza di denunce alle autorità sarebbe, secondo molti, prova che si tratta di episodi di poca gravità o addirittura inventati. Questo atteggiamento dimostra due cose: che la parola di una donna che subisce una molestia verrà messa sempre in discussione e che anche di fronte all’evidenza ci sarà sempre chi cerca di negare la pervasività della violenza di genere. Come era già accaduto con il palpeggiamento ai danni dell’inviata sportiva Greta Beccaglia, ripreso in diretta tv, anche in questo caso nemmeno i video bastano a riconoscere come violenza il comportamento degli Alpini. In un video di Saverio Tommasi, si vede un uomo molestare una ragazza proprio nel momento in cui racconta il clima di violenza e impunità al giornalista. Eppure c’è chi ha il coraggio di dire che finché non si denuncia, è come se non fosse successo.

Proprio vedendo le reazioni di queste ore, in cui tutti sembrano impegnati a mettere in discussione la credibilità delle donne, si capisce facilmente cosa dissuada le donne dal denunciare. Se solo la condanna in terzo grado si qualifica come lo strumento per riconoscere che una donna è stata oggetto di violenze sessuali, insulti sessisti o molestie, allora stiamo certi che nessuno degli episodi avvenuti in queste ore potrà mai ottenere quel riconoscimento, vista anche la situazione in cui si sono verificati, con grandi folle di uomini peraltro tutti vestiti in maniera simile. Senza contare il fatto che per arrivare a una condanna ci vogliono anni, che cosa dovrebbe spingere una donna a denunciare una violenza, se la prima reazione di tutti – dai rappresentanti delle istituzioni, agli amici, ai giornalisti, ai commentatori sui social, alle forze dell’ordine – è quella di darle della bugiarda?

La prima cosa che le si richiede è infatti di dare solidità alle sue accuse. In caso di violenza sessuale, è la vittima a dover raccogliere le prove di quanto le è successo e dimostrare di essere la parte lesa. Nessuno chiede a una persona che è stata scippata di dimostrare, ad esempio, che non era ubriaca o com’era vestita quando le hanno rubato la borsa. Questo accade sistematicamente alle donne che raccontano di avere subito una violenza, qualsiasi sia la sua gravità e qualsiasi sia l’identità della vittima. Prima ancora di dimostrarle solidarietà, anche solo un briciolo di empatia, la cosa più urgente è raccogliere le prove della sua innocenza. Avviene negli ospedali, nei comandi di polizia, nei tribunali veri e in quelli di carta dei giornali. E infatti la risposta dell’Ana è paradigmatica: la priorità è preservare il buon nome del corpo. Gli autori delle molestie (presunte, mi raccomando) sono per forza di cose degli infiltrati. E l’amara verità è che anche quando una donna denuncia e fa quello che la società si aspetta debba fare una vittima di violenza, il processo lo deve subire lei. Greta Beccaglia si attivò subito per identificare il suo aggressore e sporgere la querela, ma anche in quel caso c’era chi sosteneva fosse un caso montato ad arte per ottenere un po’ di visibilità.

Le ragioni che spingono una donna a non denunciare sono molte, e tutte valide. Dalla scarsa (e motivata) fiducia nei confronti della giustizia penale, a ragioni molto più pragmatiche, come la mancanza di tempo e di denaro. Anche la frequenza delle molestie, purtroppo, è un fattore non da poco. Se ogni donna dovesse denunciare ogni episodio di catcalling o di molestia, i tribunali non potrebbero occuparsi di altro. Può sembrare una constatazione rassegnata o addirittura moralmente riprovevole, ma questa è la realtà delle donne: la banalità della violenza. Eppure, tutti gli sforzi per combatterla ricadono paradossalmente su di loro, che non solo sono ritenute responsabili della violenza subita per i loro comportamenti (c’è anche chi ha consigliato alle ragazze di restare a casa in vista di così tanti uomini in giro per Rimini), ma anche della sua risoluzione.

Le donne potranno fare tutte le denunce del mondo, ma finché gli uomini non si sentiranno più legittimati a lasciarsi andare a questi comportamenti violenti senza subire alcuna conseguenza né penale né morale, allora la cultura del possesso continuerà a essere un problema. Che forse non sta del tutto alle donne risolvere.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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