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News sull'omicidio di Elena Del Pozzo a Catania

Perché Martina Patti e Veronica Panarello non c’entrano nulla con Annamaria Franzoni

Annamaria Franzoni, Martina Patti e Veronica Panarello sono madri assassine. Ma la prima non ha niente a che fare con le altre due.
A cura di Anna Vagli
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Franzoni, Panarello e Patti
Franzoni, Panarello e Patti
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Annamaria Franzoni, Martina Patti e Veronica Panarello sono madri assassine. Ma, eccezion fatta per l’essersi macchiate tutte e tre dello stesso crimine, le ragioni sottese all’omicidio di Samuele Lorenzi non sono le stesse che hanno mosso la mano omicida di Martina Patti e Veronica Panarello.

Dunque, Annamaria Franzoni non c’entra niente con Martina Patti. E neppure con Veronica Panarello. Vi spiego perché.

Annamaria Franzoni ha agito in preda ad un distruttivo ed incontenibile dolo d’impeto. E poi ha arrestato la propria furia omicida. Non ha attuato alcun tentativo di occultamento del cadavere, ma si è esclusivamente limitata a palesare la volontà di comprendere che cosa potesse essere accaduto al piccolo Samuele.

“Non mi stancherò mai di dire che non ho ucciso mio figlio. Non è nella mia mente che troverete il colpevole. Non potrò mai confessare ciò che non ho mai fatto”. Queste le sue parole in udienza. La mamma di Cogne non ha mai confessato, a differenza delle due madri siciliane. Non lo ha fatto pur essendo perfettamente consapevole di aver ucciso il più piccolo dei Lorenzi. Anche se lo negherà per sempre.

Martina Patti e Veronica Panarello sono invece reo confesse. Hanno ucciso rispettivamente la figlia Elena Del Pozzo ed il figlio Loris Stival. E poi ne hanno occultato il cadavere rispettivamente in un campo e in un canalone. Lo hanno fatto in maniera lucida, deliberata e con un piano largamente pianificato in ogni singolo dettaglio per cercare di farla franca.

La Franzoni ha agito in preda ad un blackout momentaneo. Difatti, qualche ora prima dell’omicidio, Stefano Lorenzi – padre di Samuele – aveva chiamato il 118. Era l’alba del 30 gennaio 2002 e, in quella chiamata, l’uomo chiedeva l’intervento di un medico per sua moglie. Quest’ultima diceva infatti di essere priva di forze e lamentava una situazione di malessere e di grave disagio ansiogeno. Di qui, ipotizzo, un capriccio del bimbo – che in altra situazione avrebbe potuto essere gestito diversamente – potrebbe aver svolto il ruolo di detonatore psicologico e scatenato la furia omicida della donna. Che poi, però, ha chiesto aiuto agli operatori del 118 sostenendo che al figlio era “scoppiato il cervello”. Forse come ultimo gesto di pietas.

Elena, Loris e il piccolo Samuele
Elena, Loris e il piccolo Samuele

Al contrario, Patti e Panarello non hanno invocato alcun soccorso quando i loro figli erano agonizzanti, ma – al contrario e più drammaticamente – hanno incrementato la violenza per ucciderli. Addirittura, Martina Patti ha inferto alla piccola Elena più di undici coltellate. Soltanto una delle quali si è poi rivelata essere mortale. Lasciando ipotizzare, vista la preparazione universitaria, la volontà di far pagare alla figlia il prezzo più elevato. Doveva soffrire fino all’ultimo e nel peggiore dei modi.

Non da meno Veronica Panarello. Che ha soffocato suo figlio con le fascette di plastica da elettricista. Provocando così una delle morti più atroci. Anche lei nessuna richiesta aiuto. Ma soltanto la palesata volontà di inscenare un rapimento a sfondo sessuale. Oltre che una parvenza di normalità. Martina Patti ha fatto ritrovare il cadavere della figlia con i pantaloncini accanto al cadavere. Stessa fine per Loris Stival abbandonato dalla Panarello in un canalone con il pantaloncino abbassato e senza mutandine. Mostrando la chiara intenzione di simulare l’agito di un predatore. E, al contempo, fingendo di andare a prendere a scuola il figlio.

Per chiudere il cerchio, dopo aver più o meno affermato la propria personalità, la Panarello ha puntato il dito contro il suocero per ottenere un alibi e correggere il tiro rispetto alle indagini.

Dal canto suo, Martina Patti ha cercato sin da subito, oltreché di depistare, anche di incanalare i sospetti sul padre di sua figlia. Lo ha fatto prima parlando delle presunte frasi di minaccia rivoltele dai finti rapitori, poi parlando dei precedenti penali e delle supposte cattive frequentazioni di Alessandro del Pozzo. Fino a mettere in discussione la serenità della figlia Elena a causa della nuova relazione di quest’ultimo.

Annamaria Franzoni, mentre gli operatori del 118 tentavano di rianimare il figlio, pronunciava al marito una frase sconcertante “Mi aiuti a farne un altro?”. Aveva appena colpito mortalmente Samuele, ma già cercava conforto nel compagno di una vita. Il bambino stava morendo e lei pensava a lavarsi la coscienza con il marito Stefano. Quell’uomo del quale proprio non avrebbe potuto fare a meno. Al polo opposto si è posta la volontà di Martina Patti che ha massacrato a colpi di coltello la figlia Elena per vendicarsi dell’ex. Nella sua mente criminale ha ristabilito il controllo su Alessandro sottraendogli la cosa che gli era più cara al mondo: la figlia Elena.

Veronica Panarello, come Martina Patti, non ha provato rimorso ma, per converso, ha verosimilmente esperito un sospiro di sollievo per l’eliminazione del figlio.

Elena ha perso la vita perché colpevole di nutrire amore nei confronti di Alessandro e della sua nuova compagna Laura. Loris poteva aver scoperto un segreto inconfessabile: quello che, forse, avrebbe potuto legare Veronica a suo nonno Andrea Stival. Con il quale, si era ipotizzato, la donna avesse una relazione. Dunque, il figlio doveva essere ucciso.

In definitiva, la storia di Annamaria Franzoni è sovrapponibile a quella di Martina Patti e Veronica Panarello soltanto perché tutte e tre le donne hanno ucciso i loro figli. Ma lontane anni luce sono le ragioni sottese all’omicidio di Samuele rispetto a quelle che hanno portato alla morte di Elena Del Pozzo e Loris Stival.

Per il resto, poco importa quale sia stato il prologo. Il dato inconfutabile è che Samuele, Loris ed Elena si sono rivelate predestinate vittime di altrettanto predestinate carnefici.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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