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Perché l’indagine sul pm del caso Yara non farà riaprire il processo contro Massimo Bossetti

L’iscrizione di Letizia Ruggeri, Pm del caso Gambirasio, non mette in alcun modo in discussione la condanna di Massimo Bossetti. Le ragioni sono sia giuridiche che scientifiche.
A cura di Anna Vagli
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Il giudice per le indagini preliminari di Venezia, Alberto Scaramuzza, ha disposto l'iscrizione nel registro degli indagati della dottoressa Letizia Ruggeri, il pubblico ministero di Bergamo che si è occupata del delicato caso della morte di Yara Gambirasio.

La vicenda in oggetto investe ancora il tema della conservazione dei reperti contenenti materiale biologico, la cui analisi ha condotto dritto all'ergastolo Massimo Giuseppe Bossetti.

Spieghiamo tutte le anomalie della nuova indagine e le ragioni giuridiche e scientifiche per le quali la condanna del muratore bergamasco non può essere messa in discussione.

La nuova indagine per frode processuale e depistaggio

Il reato contestato al Pm Letizia Ruggeri è quello della frode processuale e depistaggio. Nel dettaglio, gli avvocati di Bossetti avevano richiesto la verifica della corretta conservazione delle cinquantaquattro campionature di Dna custodite negli uffici del Tribunale di Bergamo.

La difesa del muratore afferma infatti da anni la necessità di accertare i profili di responsabilità della dottoressa titolare del caso Gambirasio. E di accertarli specificatamente in ordine al mantenimento delle provette contenenti il materiale genetico utilizzato per inchiodare Bossetti a temperatura ambiente. Una modalità certamente non idonea a preservare quel tipo di campionamento.

Dunque, il Gip di Venezia, competente a giudicare sui magistrati bergamaschi, sembra aver accolto le richieste cristallizzate nell’opposizione alla richiesta di archiviazione presentata proprio dai legali del condannato, Salvagni e Camporini. Archiviazione che però, coerentemente al sistema, era stata chiesta dalla procura.

Coerentemente, afferma chi scrive, in considerazione del dato per il quale non vige nell’ordinamento penale italiano una norma che preveda la conservazione di un campione, anche se biologico, all’interno di un frigorifero.

Al contrario, le disposizioni contemplano meramente che i reperti di cui si discute vengano semplicemente custoditi presso l'ufficio corpi di reato. Pertanto, non si comprende perché sarebbe dovuta intervenire una deroga per preservare il materiale biologico appartenente al muratore di Mapello.

Un ultimo inciso giuridico

Nel nostro ordinamento giudiziario non esiste una norma che preveda la ripetibilità della prova scientifica quando questa sia ritenuta dai giudici superflua. Quindi, nessuna violazione del diritto alla difesa tanto invocata dai legali di Massimo Bossetti.

Per maggior chiarezza, mi appello al codice di rito. In tale direzione, è ben vero che gli accertamenti tecnici irripetibili, tra i quali rientrano anche le analisi genetiche, devono avvenire nel rispetto del contraddittorio delle parti.

Ma, si ribadisce, nel momento in cui è stato isolato il campione di Dna, Massimo Bossetti non era un soggetto conosciuto. Proprio per questo era stato definito ignoto. Così argomentando, posto che il nostro sistema penale non contempla la possibilità di nominare avvocati e consulenti pro-ignoti, non si è realizzata alcuna violazione procedimentale.

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Dunque, molteplici sono all’avviso di chi scrive le perplessità in ordine alla decisione del gip di Venezia di disporre l’iscrizione nel registro degli indagati del Pm Letizia Ruggeri. Una granitica certezza.

Quest’indagine non determinerà in alcun modo la riapertura del processo. L’assassino di Yara sta scontando la sua pena. Ma se ancora le motivazioni giuridiche non dovessero bastare, spieghiamo in maniera coincisa quelle scientifiche.

In scienza e coscienza: il Dna e Ignoto 1

La difesa di Bossetti ha sempre sostenuto sia la creazione in laboratorio di un DNA artificioso sia la non utilizzabilità di quel codice genetico in quanto ne era stata isolata soltanto la sua componente nucleare ma non quella mitocondriale.  Due contestazioni smontabili come segue.

Il profilo isolato sugli slip e i leggings di Yara era stato denominato “Ignoto 1” proprio perché sconosciuto. Inoltre, l’analisi del medesimo era stata affidata anche all’Università di Washington. In quella sede, il dottor Daniele Podini, avvalendosi di uno studio capace di rendere informazioni genotipiche e somatiche, stabiliva che l’assassino doveva essere al 94,5% un uomo con gli occhi molto chiari. Nello specifico, azzurri o verdi.

La dottoressa Letizia Ruggeri aveva così disposto la schedatura del Dna di tutti gli abitanti della zona.  Controllando a tappeto tutti gli iscritti alla discoteca “Le Sabbie Mobili”, limitrofa al campo di Chignolo d’Isola, dove era stato trovato il cadavere di Yara, veniva isolato un profilo genetico che aveva l’aplotipo Y identico a quello di Ignoto 1.  Il profilo rispondeva al nome di Damiano Guerinoni che, tuttavia, al momento della scomparsa di Yara, si trovava in Perù.

Quindi, le analisi successive avevano smentito che potesse trattarsi di quest’ultimo o di un suo parente in linea retta. La svolta, però, era comunque vicina. L’aplotipo Y, difatti, si trasmette in misura identica di generazione in generazione ed è il medesimo per tutti i discendenti maschi di un determinato capostipite.

Gli inquirenti scoprivano così che Damiano era figlio di Aurora Zanni, che aveva lavorato come colf a casa Gambirasio, e di Sergio Guerinoni, deceduto nel 2003.

Si risaliva così al progenitore, Battista Guerinoni, e da lui gli inquirenti ricostruivano l’intera discendenza. Tutti i maschi  individuati, e ancora in vita, venivano consequenzialmente sottoposti a prelievo salivare.

Fino a Pierpaolo Guerinoni, che recava un Dna nucleare quasi identico a quello di Ignoto 1. I due profili, difatti, divergevano soltanto per due marcatori. Quest'ultimo, che era figlio di Giuseppe Benedetto, deceduto nel 1999, viveva a Frosinone ed era senza figli. Dunque, l’unica spiegazione possibile era che Ignoto 1 fosse figlio illegittimo di Giuseppe Benedetto Guerinoni.

Pillole di genetica

La seconda contestazione dei legali di bossetti, invece, ha a che fare con il solo rinvenimento del Dna nucleare dell'uomo sugli slip di Yara. Ma anche questo punto è scientificamente smontabile.

Negli esseri viventi, ad eccezione delle alghe azzurre e dei batteri, e di altre cellule specializzate quali i globuli rossi, sono presenti due tipi di Dna: il Dna nucleare e il Dna mitocondriale.

Entrambi i tipi di genoma recano variazioni di sequenza utili per diversificare il patrimonio genetico di un individuo da quello di un altro. Il Dna nucleare e il Dna mitocondriale vengono trasmessi di genitore in figlio in maniera differente. Il Dna nucleare contiene i geni di entrambi i genitori e varia da soggetto a soggetto.

Inoltre, risulta essere identico soltanto nei gemelli omozigoti. Sebbene, anche in quest’ultimo caso, possano essere individuate alcune differenze epigenetiche. Il Dna mitocondriale, invece, viene trasmesso inalterato di madre in figlio, senza alcuna ricombinazione genetica.

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Dunque, in materia forense, per le ragioni appena esplicitate, si indaga esclusivamente il Dna nucleare e non quello mitocondriale. E la ragione, ribadisco, è molto semplice: il primo si compone di una metà proveniente dal padre e di un’altra metà proveniente dalla madre.

Per questo motivo deve ritenersi altamente identificativo, una sorta di “marchio di fabbrica”. Il nostro marchio di fabbrica, poiché lo abbiamo solamente noi. Come il codice fiscale. Al contrario, il Dna mitocondriale tramanda esclusivamente la linea matrilineare, quindi, non può ritenersi sufficiente per riconoscere scientificamente un soggetto. Per le ragioni esplicitate, pertanto, l'assassino di Yara non può che esssere il proprietario del Dna nucleare rilasciato sul suo cadavere. Vale a dire Massimo Bossetti.

La “controprova” scientifica

Anzitutto, al muratore bergamasco il DNA viene prelevato attraverso un artificioso controllo alcolemico. Il profilo genetico di Bossetti veniva così comparato con quello di Ignoto 1 nel laboratorio di genetica forense dell’Università di Pavia.

L’attività viene presieduta dal direttore responsabile, il Prof. Carlo Previderè, che stabiliva l’assoluta sovrapponibilità dei due DNA. Nessun’altra persona al mondo ha quel profilo genetico: Massimo Bossetti è Ignoto 1.

Inoltre, nel corso del processo di primo grado tutta la famiglia di Bossetti si è sottoposta al test del Dna: Giuseppe Guerinoni è risultato il padre di Massimo e di Laura, sua sorella gemella.

Padre biologico di cui, il muratore di Mapello, porta anche il secondo nome. Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni sulla scena del crimine è che le coincidenze, nei reati così efferati, non esistono. Quindi, per inciso, Laura porta il nome della moglie di Guerinoni. Oltre alla prova scientifica, c'è anche la controprova.

Esclusa scientificamente la possibilità della creazione di un Dna artificioso in laboratorio attribuito al malcapitato di turno, capiamo perché il profilo rinvenuto sui leggings e gli slip di Yara è la firma dell’assassino. La motivazione è lampante. La ginnasta e il muratore non si conoscevano, la traccia isolata era mista ed era stata rilasciata al momento dell’aggressione. Per giunta, in prossimità di zone erogene.

È possibile la ripetizione del test del Dna?

Gli ufficiali del RIS, anche nel corso del dibattimento, hanno infatti più volte evidenziato come il materiale genetico fosse stato tutto consumato nel corso delle varie consulenze. E, di questo gli avvocati di Bossetti, ne sono sempre stati consapevoli.

Di conseguenza, la perizia che continuano ad invocare, non consentirebbe nuove amplificazioni né tantomeno tipizzazioni del Dna. Inoltre, in giudizio, è stata dimostrata la regolarità del procedimento concretizzatosi nell’ isolamento della traccia genetica, nell’ estrazione e nell’ individuazione di un profilo sconosciuto.

Ignoto 1, appunto.  Ci sono poi voluti tre anni e migliaia di campionamenti per risalire a Massimo Giuseppe Bossetti. Nessun complotto contro il condannato né ombra di contaminazione. Quando si svolgevano le indagini sul Dna quest’ultimo non era né un indagato né un sospettato.

Una volta acclarato che Ignoto 1 è Bossetti la ripetizione dell’analisi attraverso i residui di campioni è inutile. E lo è perché, come ribadito più volte in giudizio dal reparto investigazioni scientifiche, il profilo genetico è stato confermato da ventotto marcatori allelici. Quando, le linee guida internazionali, per l’attribuzione ad un soggetto, all'epoca ne richiedevano solamente ventuno.

Innocentisti e colpevolisti

Sono oltre centomila le persone che in Italia sostengono l’innocenza di Bossetti. Posto che la scienza non è confutabile, che cosa c’è dietro? La mediaticità dei processi. Durante tutta la vicenda, l’uso giornalistico del Dna, che avrebbe dovuto azzerare la credibilità di Bossetti, ne ha moltiplicato la platea a suo favore.

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Il caso Gambirasio ha infatti messo a nudo un sistema che molti tendono ad ignorare. Un ordinamento in cui la narrazione giudiziaria e quella mediatica si intersecano fino a confondersi tra loro. Una compagine nella quale, alla verità processuale, fondata su dati oggettivi e ricostruzioni certe, si sovrappone quella mediatica, basata su suggestioni che moltiplicano gli scenari all’infinito. I framedi narrazione tossica finiscono con il sovrapporsi al sistema quantistico: ogni elemento influenza gli altri, ma i suoi effetti non possono essere previsti con certezza.

Nei processi mediatici la ricerca della verità amplifica le emozioni a dismisura. Nonostante Yara sia l’unica vittima, Massimo Giuseppe Bossetti con il suo sguardo sfingeo continua a sollevare la disputa tra innocentisti e colpevolisti. Ma è il solo e unico responsabile dell’omicidio della ginnasta di Brembate. Senza se e senza ma. Nonostante il clamore che continua ad avvolgere la vicenda.

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