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Per l’Unione Europea i rider sono lavoratori dipendenti: al lavoro sulla direttiva unica

Per l’Unione Europea i rider sono lavoratori dipendenti a tutti gli effetti e i colossi delle consegne devono assumerli. La Commissione Europea varerà un pacchetto lavoro per gli Stati.
A cura di Gabriella Mazzeo
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I rider sono a tutti gli effetti lavoratori dipendenti subordinati delle piattaforme digitali. Per questo dovranno essere assunti con contratti adatti: mercoledì 8 dicembre la Commissione Europea varerà il pacchetto lavoro. La direttiva cambierà per sempre il destino dei lavoratori del settore in Italia e in Europa. Si tratta di 1,5 milioni di persone che oggi lavorano per i colossi quali Glovo, JustEat, Deliveroo e UberEats. JustEat applica ai rider il Contratto Nazionale del settore della logistica, trasporto, merci e spedizioni. Gli altri invece utilizzano il contratto di Assodelivery con Ugl. L'accordo in questione fu bocciato dal tribunale di Bologna che chiese un risarcimento per i 6mila rider interessati tramite un "vero contratto nazionale". Nonostante il provvedimento, il contratto che lega il salario minimo alle consegne resta ancora in vigore per tutte le altre compagnie (con l'eccezione di JustEat).

Secondo quanto riporta Repubblica, la direttiva sarà poi votata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio. Diventerà in questo modo una vera e propria legge alla quale gli stati dovranno adeguarsi. Il rider sarà considerato dipendente in base ad alcune caratteristiche: ad esempio se non corre il rischio d'impresa o se non decide i prezzi dei prodotti. L'assunzione comporterà una serie di tutele come ad esempio la previdenza. La direttiva non prevede l'obbligo di un contratto a tempo indeterminato e quindi i limiti temporali saranno stabiliti in base alle norme nazionali. In Italia, per esempio, il tempo determinato non può superare i tre anni. 

Un altro provvedimento riguarderà l'uso degli algoritmi per valutare o programmare il servizio di consegna. Oggi quel sistema serve a giudicare il lavoratore. Gli algoritmi dovranno essere resi pubblici dalle piattaforme che li utilizzano con una comunicazione formale che renderà il rider consapevole di come viene valutato. Proprio gli algoritmi dimostrano che quella dei rider non è un'attività autonoma: il lavoratore infatti è sottoposto a monitoraggio e valutazione e vede la sua attività lavorativa programmata da terzi. Il riconoscimento del lavoro dipendente dei rider è già avvenuto in Francia, Germania e Spagna. In Italia la Cassazione ha stabilito che con il Jobs Act dovrebbero essere applicate ai rider le forme di tutela tipiche della subordinazione. In particolare, proprio lo scorso ottobre, il tribunale di Milano ha condannato per caporalato il colosso Uber. Il giudice ha infatti disposto un risarcimento per 44 fattorini entrati nel procedimento come parti civili. Il tribunale ha disposto di convertire per la causa il sequestro di circa 500mila euro in contanti avvenuto durante l'indagine sugli intermediari di Uber che si occupavano dei rider che lavoravano tra Milano, Torino e Firenze. I fattorini sfruttati erano migranti da Mali, Nigeria, Costa d'Avorio, Gambia, Guinea, Pakistan e Bangladesh e dimoravano presso centri di accoglienza straordinaria. Per il loro lavoro ricevevano compensi sotto la media e venivano ricattati a causa della condizione di emarginazione sociale.

In tre anni i rider sono più che raddoppiati: nel 2018 erano 695mila, oggi sono 1,5 milioni. I lavoratori della Gig economy sono per la maggioranza uomini dai 30 ai 49 anni con un titolo di studio che di solito è un diploma di liceo o di un istituto professionale. In media i fattorini lavorano circa quattro ore al giorno e la maggior parte di loro utilizzano il settore del delivery come secondo impiego.

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