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Morte Nicola Colloca, tutti assolti i sette imputati: fu suicidio e non omicidio

Tutti gli imputati per la morte di Nicola Colloca sono stati assolti: una perizia medico legale ha stabilito che l’uomo si tolse la vita e non venne ucciso.
A cura di Davide Falcioni
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Si è concluso nel luglio scorso il processo per la morte di Nicola Colloca, l’infermiere 49enne di Vibo Valentia il cui corpo venne trovato carbonizzato nell'abitacolo dell’Opel Corsa della moglie la notte tra il 25 e il 26 settembre del 2010. La vicenda, una delle più controverse degli ultimi decenni in tutta la Calabria, venne dapprima trattata come presunto omicidio, ma le indagini e il successivo procedimento giudiziario hanno rivelato un'altra verità: tutti gli imputati sono stati assolti e una perizia medico legale ha stabilito che l'uomo si tolse la vita.

Sul banco degli imputati sedevano sette persone: Caterina Gentile, di 51 anni, moglie di Nicola Colloca, e Luciano Colloca (29), figlio dell’infermiere; Michele Rumbolà (65), Caterina Magro (44), Nicola Gentile (57) e Domenico Gentile (45), cognati dell'uomo. Per loro la contestazione era concorso in omicidio e distruzione di cadavere. Alla moglie, al figlio e a Michele Rumbolà, veniva inoltre contestata la premeditazione del delitto, mentre a moglie e figlio anche l’aggravante di aver agito contro un familiare nei primi due reati. Abbreviato secco avevano invece scelto i coniugi Domenico Antonio Lentini (59) e Romanina D’Aguì (55), accusati di favoreggiamento personale per aver cercato, secondo l’accusa, di sviare le indagini fornendo false dichiarazioni ai carabinieri. I sette erano stati indagati nel novembre del 2017 dalla Procura di Vibo a seguito delle risultanze investigative condotte dai carabinieri.

Determinanti ai fini dell'assoluzione di tutti gli imputati sono state le conclusioni della consulenza medico-legale disposta dal giudice e il rigetto della richiesta avanzata dalla Procura e dalla parte civile di eseguire un’altra perizia medica. In particolare, il professore Pietro Tarsitano, già direttore del reparto di Medicina legale dell’ospedale Cardarelli e attualmente docente dell’Università di Napoli, aveva stabilito che quello di Colloca era un suicidio e non un omicidio come sostenuto dall’accusa sulla base della perizia dello specialista Arcudi (che aveva svolto i primi accertamenti sul decesso). Stando a quanto accertato dal dottor la morte dell'infermiere conseguì ad un arresto cardiaco per l’esposizione del corpo della vittima ad una violenta azione termica innescata dall’incendio e dall’esplosione della miscela (benzina-aria contenuta nella bottiglietta); l’ipotesi del suicidio, rispetto a quella dell'omicidio, è maggiormente compatibile con l’esito degli accertamenti tecnici effettuati (esame dei campioni macro e microscopici, esame tossicologico); inoltre, gli esami radiografici eseguiti permettono di escludere l’azione di armi od oggetti contundenti nei distretti esaminati.

Un altro importante elemento – emerso anche nella prima autopsia eseguita dalla Bisogni – è quello secondo cui si può "riaffermare che Colloca era vivo al momento del violento incendio"; di conseguenza il decesso dell'uomo, "con alta verosimiglianza, vicina alla certezza scientifica, fu da ascriversi ad un abbruciamento conseguito ad una violenta fonte di calore che indusse la carbonizzazione di parti del corpo". Dagli esami, inoltre, è emersa la presenza di tracce di cloroformio nei tessuti della vittima. La domanda alla quale fornire una risposta era: come poteva l’infermiere lasciarsi bruciare senza che prendesse il sopravvento qualsiasi reazione o istinto di sopravvivenza? La presenza di tale sostanza rappresenta una spiegazione plausibile a giudizio del consulente del magistrato. Il perito sosteneva l'assoluta compatibilità dell’assunzione di cloroformio con il successivo appiccamento dell’incendio. Secondo il giudice, quindi, così descritti i principali elementi, "si impone l’assoluzione di tutti gli imputati dai reati rispettivamente ascritti per totale assenza di prova". A risultare carente è stata in particolare "la proprio dell’evento omicidiario, tale da fondare l’assoluzione con formula piena, non avendo alcun elemento da cui poter inferire che a seguito della pianificazione dell’omicidio da parte di Gentile Caterina, Colloca Luciano e Michele Rumbolà per motivi economici e sentimentali non ulteriormente circostanziati e riscontrati, sia stato poi eseguito materialmente il delitto da parte del figlio Luciano mediante un colpo alla testa inferto con un calcio di pistola, mai rinvenuta o ricercata".

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