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Mafia a Palermo, talpe tra carabinieri e polizia aiutavano i boss di Brancaccio

Secondo la Dda di Palermo, i boss di Brancaccio Stefano e Michele Marino erano sempre scampati all’arresto perché potevano contare su una rete di informatori all’interno delle stesse forze dell’ordine, tra carabinieri e polizia, che fornivano loro tute le indicazioni su blitz ma anche su telecamere nascoste e auto civetta.
A cura di Antonio Palma
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Per anni i boss di Brancaccio a Palermo sono riusciti scappare ai blitz delle forze dell'ordine e alle indagini a loro carico, spesso all'ultimo minuto, perché potevano contare su una rete di informatori all'interno delle stesse forze di polizia. È quanto emerge dall'inchiesta della  direzione distrettuale antimafia di Palermo che nelle score ore ha portato finalmente all'arresto dei boss di Brancaccio Stefano e Michele Marino. I due fratelli da anni gestivano incontrastati gli affari criminali di Brancaccio e Roccella ed erano entrati in tutte le più recenti inchieste antimafia ma erano riusciti sempre a sfuggire alla cattura. Una fortuna dietro la quale, secondo gli inquirenti, in realtà di nascondevano le informazioni fornite dalle talpe: uomini dello stato che in realtà si erano schierati con i boss.

Della rete a disposizione dei due capi mandamento avrebbero fatto parte un ex poliziotto e un ex carabiniere ma anche altri personaggi non ancora identificati che riuscivano ad avvertire di indagini in atto, a segnalare telecamere e microspie installate, a fornire targhe e colori delle auto civette utilizzate dalle forze dell'ordine per i pedinamenti e soprattutto a indicare blitz imminenti. Grazie a queste informazioni Stefano Marino, già sfuggito a un primo arresto nel 2009, era scampato anche ad un blitz del 2018 quando sparì da casa proprio in vista degli arresti.

Il rapporto tra uomini dello stato infedeli e il mandamento di Brancaccio, secondo gli inquirenti, andava avanti da anni. Uno di questi informatori era un poliziotto che per anni aveva passato informazioni ai vari boss prima e di essere arrestato nel 2009 e poi condannato a otto anni. A rivelare il suo tradimento le dichiarazioni di due pentiti che hanno svelato che le informazioni riservate arrivavano da un assistente capo della polizia. Nonostante la condanna, per gli inquirenti sarebbe stato lo stesso poliziotto a indicare ai Marino un altro appartenente alle forze dell’ordine che a causa di un trasferimento non gradito sarebbe stato pronto a rivelare importantissime e aggiornate informazioni sulle indagini, ovviamente dietro lauto compenso. No solo l'agente aveva vasti contatti tra ex colleghi e carabinieri che gli avrebbero permesso di fornire notizie di prima mano su ogni attività investigativa nei confronti degli affari criminali dei boss

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