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Liliana Resinovich, perché neppure le analisi sulle scarpe sciolgono il nodo sulle cause della morte

Secondo il comunicato reso noto dalla Procura, Liliana potrebbe essere arrivata a piedi nel luogo ove è stata rinvenuta cadavere. La Procura, però, continua a disporre nuove analisi. Qual è il tassello mancante?
A cura di Anna Vagli
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Secondo quanto emerso dal comunicato della Procura di Trieste, Liliana Resinovich potrebbe essere arrivata a piedi nel boschetto in cui è stata rinvenuta cadavere. Stando infatti alla consulenza botanica i residui vegetali rinvenuti sulle suole delle scarpe della donna sarebbero compatibili con quelli propri dell’area dell’ex ospedale psichiatrico. In particolare, nel documento, si fa riferimento a degli arbusti che avrebbero aderito alla scarpa destra. Ad ogni modo, nonostante quest’ultimi risultati, la Procura – complice anche il decorso del tempo e le difficoltà connesse – ha fatto sapere che verranno svolte ulteriori analisi: sulle suole, sui telefoni e sul contenuto della bottiglia rinvenuta vicino al corpo della Resinovich. Quale dubbio ancora attanaglia la Procura?

Evidentemente c’è una tessera del puzzle che a noi manca, ma che gli inquirenti hanno e che li induce a disporre nuovi accertamenti. In questo senso, la procura ha un obbligo di mezzi, ma non di risultato. Di conseguenza, se fosse davvero convinta dell’ipotesi suicidio, avrebbe già chiesto l’archiviazione. In primo luogo, perché il termine delle indagini è in scadenza, salvo espressa richiesta di proroga. In secondo luogo, perché vige il principio dell’economia e, ove gli accertamenti risultino superflui, il Pm non deve espletarli né tantomeno disporne di nuovi. Al contrario, è tenuto a chiedere l’archiviazione.

Tirando le fila, dunque, è verosimile che la tessera che a noi manca (ma non agli inquirenti) sia il risultato dell’istologico e, quindi, abbia a che fare con la causa alla base dello scompenso cardiaco acuto.

Questo potrebbe essere confermato dalle nuove analisi disposte sul contenuto della bottiglietta. Nelle precedenti analisi, difatti, sono state testate in laboratorio ben 700 sostanze. Nessuna di esse è stata ingerita da Liliana. Da tale angolo di visuale, dobbiamo tener presente che Lilli non era un medico né un biologo. Pertanto, anche laddove avesse effettuato ricerche su internet in merito al particolare tipo di sostanza da assumere, è ragionevole ritenere che possa averne utilizzata una facilmente reperibile in commercio. Certamente, se si è tolta la vita, non ha pensato a come occultarne le tracce nell’ottica di un’ipotetica autopsia.

Non meno importante è anche la questione relativa al Dna vegetale. Seppur definito compatibile in consulenza, il terriccio in parola potrebbe essere finito sotto le suole di Liliana Resinovich in altre circostanze. Dal momento che, stando ai racconti di Claudio, quest’ultima era solita frequentare quella zona. Per tale ragione è auspicabile che vengano disposti accertamenti diretti in tal senso. In particolare, occorrerà campionare tutta l'area per avere la certezza che il terriccio rinvenuto sotto le suole di Lilli fosse effettivamente tipico solo del luogo dove è stata trovata. In ultima analisi, si tratterà di capire se si tratta o meno di terriccio misto – e questo è un elemento che dipende dalla composizione fisica e chimica del territorio stesso – compatibile con altre aree della zona.

Intanto la Procura di Trieste ha dato incarico a un consulente per disporre l’accertamento sui telefoni cellulari di Liliana. Chiaramente l’intento è quello di svolgere una copia forense. Funzionale, quest’ultima, a ricostruire cosa sia concretamente stato cancellato sul telefono di Liliana, l’eventuale traffico generato e se, realisticamente, i suoi cellulari siano o meno rimasti nell’abitazione. La soluzione del giallo non è così imminente.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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