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Le barriere di plastica nei ristoranti non servono e rischiano di essere dannose

Secondo diversi studi raccolti dal New York Times in un approfondito articolo sull’utilizzo e l’utilità delle barriere di plastica all’interno di negozi e uffici, questi divisori sarebbero inefficaci nel bloccare la diffusione del Coronavirus e in parte anche dannose. “Se le persone interagiscono per più di pochi minuti, probabilmente sono esposte al virus indipendentemente dalla barriera che li divide”.
A cura di Chiara Ammendola
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All'inizio della pandemia, con la fine del lockdown e la ripresa delle normali attività in gran parte degli ambiti lavorativi, perlopiù privati, nei ristoranti, nei negozi di parrucchiera o in altri esercizi commerciali sono spuntati i pannelli in plexiglass. Barriere protettive di plastica a separare le postazioni sulle quali sono sedute le clienti quando vanno dall'estetista, o anche quelle del bancone di un bar o della cassiera al ristorante. Una sorta di protezione volta a diminuire la possibilità di contagio tra una persona e un'altra. Ma col passare del tempo e qualche studio effettuato da esperti e scienziati, è emerso che queste barriere molto probabilmente fanno poco per fermare la diffusione del Coronavirus. Non solo: a volte queste barriere in plastica possono peggiorare le cose visto che secondo quanto emerso da una ricerca finirebbero per impedire il normale flusso d'aria e la ventilazione in un ambiente.

A dirlo sono diversi scienziati che proprio in questi mesi di pandemia stanno prestando particolarmente attenzione ai flussi d'aria e alla ventilazione per permettere che tutti possano frequentare i luoghi al chiudo con maggiore serenità. Come riportato dal New York Times, le barriere non aiuterebbero nel prevenire la diffusione del virus in un ambiente chiuso e trasmetterebbero inoltre un falso senso di sicurezza alle persone. Inoltre le stesse barriere potrebbero impedire il normale flusso d'aria, oltre che la ventilazione. "In condizioni normali nei negozi, nelle aule e negli uffici, le particelle di respiro esalato si disperdono, trasportate da correnti d'aria e, a seconda del sistema di ventilazione, vengono sostituite da aria fresca ogni 15-30 minuti circa – si legge in un articolo del New York Times – ma la presenza delle barriere di plastica può modificare il flusso d'aria in una stanza, interrompendo la normale ventilazione e creando "zone morte", dove le particelle che trasportano il virus possono accumularsi e diventare altamente concentrate".

Ovviamente esistono casi ed esistono eccezioni ma dipende da una serie di variabili come spiegano gli stessi scienziati. Sebbene non ci sia molta ricerca nel mondo reale sull'impatto delle barriere trasparenti e sul rischio di malattie, scienziati negli Stati Uniti e in Gran Bretagna hanno iniziato a studiare il problema e i risultati non sono rassicuranti. Uno studio pubblicato da alcuni ricercatori britannici mostrano ciò che accade quando una persona che è seduta al lato di una barriera di plastica, semplicemente parla o tossisce. Nel secondo caso, ovvero quando tossisce, la barriera ha maggiore efficacia: questo perché le particelle più grandi hanno uno slancio maggiore e colpiscono la barriera. Quando invece la persona parla, lo schermo non intrappola le particelle espirate che così finiscono per fluttuare intorno alla persona stessa e rappresentano un rischio per chi è intorno e potrebbe inalare l'aria contaminata. "Le particelle più piccole si mescolano nell'aria della stanza entro circa cinque minuti – ha affermato Catherine Noakes, professoressa di ingegneria ambientale per gli edifici presso l'Università di Leeds in Inghilterra – ciò significa che se le persone interagiscono per più di pochi minuti, probabilmente sono esposte al virus indipendentemente dallo schermo".

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