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“La vittima sembra un maschio”, sentenza shock assolve gli imputati dall’accusa di stupro

La sentenza ha assolto dalla pesantissima accusa di stupro i due imputati sostenendo che la querelante aveva un aspetto troppo mascolino che agli imputati non piaceva affatto per questo è poco credibile che sia stata stuprata ed è molto più probabile che si sia inventata tutto. Motivazioni che hanno spinto la Cassazione ad annullare il verdetto e richiede un nuovo processo di appello.
A cura di Antonio Palma
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Secondo i giudici aveva un aspetto troppo mascolino che agli imputati non piaceva affatto e per questo è poco credibile che sia stata stuprata ed è molto più probabile che si sia inventata tutto. È la sentenza shock che ha portato all'assoluzione di due giovani accusati da una giovane 22enne di origini peruviane di averla stuprata dopo una serata trascorsa insieme in un locale di Ancona. Come riporta Repubblica, i fatti risalgono al 2015 quando la giovane ha conosciuto i due a scuola serale accettando di andare a bere una birra con loro. Secondo il suo racconto, dopo la serata però sarebbe stata aggredita e brutalmente stuprata da uno dei due mentre l'altro faceva il palo. In ospedale i medici hanno confermato le  lesioni compatibili con una violenza sessuale oltre a una elevata quantità di benzodiazepine nel sangue che la vittima non ricorda di aver mai assunto.

Tutte prove che a luglio 2016 hanno portato a una condanna a cinque anni per l'esecutore materiale dello stupro e a tre per il complice. La sorpresa è arrivata in appello quando a fine processo i giudici hanno assolto i due imputati accogliendo la loro tesi difensiva secondo la quale l'aspetto della vittima non era di loro gradimento e che quindi è improbabile che sia avvenuto lo stupro. Nelle motivazioni della sentenza infatti viene più volte sottolineato l'aspetto mascolino della vittima insieme a commenti e valutazioni fisiche sulla sua scarsa avvenenza. Non solo, la parte offesa viene definita dalle giudici della Corte d'Appello di Ancona come "la scaltra peruviana". I giudici ricordano che il presunto stupratore sul proprio cellulare l'aveva memorizzata con il nome "Vikingo" per alludere alla sua mascolinità, "come la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare".

Bisogna "evitare che nei processi l'uso delle parole possa costituire una forma ulteriore di violenza nei confronti della vittime" ha confermato al Giornale Radio Rai il procuratore generale presso la Corte d'Appello di Ancona, Sergio Sottani, colui che ha impugnato la sentenza d'appello dopo aver letto le motivazioni. "Ritenere che la mancata attrazione sessuale del presunto stupratore nei confronti della vittima possa rappresentare un elemento a sostegno della mancanza di responsabilità, credo debba essere evitato perché si rischia di appesantire lo stress cui la vittima è già sottoposta", ha spiegato il magistrato.

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