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La morte di Liliana Resinovich, perché la consulenza della Procura non scioglie tutti i dubbi

Per i consulenti della Procura Liliana Resinovich si sarebbe tolta la vita. Ma ad oltre otto mesi dalla scomparsa molteplici restano i punti oscuri.
A cura di Anna Vagli
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Il delitto perfetto esiste? Se lo sono chiesti più o meno tutti sin dall’inizio. Non solo gli appassionati di nera, ma forse anche gli inquirenti.

Forse per questo negli ultimi otto mesi la tragica fine di Liliana Resinovich è stata ridotta alla dicotomia “omicidio suicidio”. Ed ora che i consulenti della Procura hanno depositato le risultanze medico legali, sembra proprio che il giallo di Trieste sia risolto. Almeno sulla carta.

A mio avviso, perlomeno da quanto è emerso, restano ancora diversi nodi da sciogliere. Non ho la verità in tasca, ma una cosa ve la voglio dire. In questi anni sulla scena del crimine ho assunto una certezza granitica. I delitti perfetti non esistono. Al massimo restano impuniti.

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Come è morta Liliana Resinovich?

L’autopsia ha individuato come causa di morte lo scompenso cardiaco acuto, senza evidenziare chiari di segni di insufficienza respiratoria.

Eppure, le modalità con le quali è stato rinvenuto il cadavere – con il capo imbucato in due sacchi di nylon – hanno fatto pensare fin da subito ad una morte per soffocamento.

Quindi provocata da una grave insufficienza respiratoria. Ma la mancanza di ossigenazione è innescata da una serie di processi che devono essere inevitabilmente rilevati in sede autoptica anche a distanza di tempo.

Ciò nonostante, secondo la consulenza, la morte asfittica di Liliana la si ricaverebbe dal fatto che la donna potrebbe aver inalato l’anidride carbonica formatasi all’interno dei sacchetti che aveva attorno al collo.

Nella consulenza si parla solamente di “possibile asfissia”. Senza però chiarire con certezza la causa di morte.

È quindi plausibilmente ipotizzabile che la donna abbia avuto un attacco di cuore non appena si è messa i sacchetti in testa? Sì. Infatti, per escludere la pista omicidiaria è bastato ai tecnici della procura la mancanza di “qualsivoglia segno ragionevolmente riportabile a violenza per mano altrui” nonché “l'assenza di lesioni attribuibili a difesa”.

Liliana Resinovich e il marito Sebastiano Visintin
Liliana Resinovich e il marito Sebastiano Visintin

Ciò detto, pur rispettando il lavoro dei consulenti della Procura, e riservandomi la possibilità di approfondire alcuni dettagli, resto ferma sulla mia convinzione.

Per fare davvero luce sulle cause che avrebbero condotto alla morte Liliana sarebbe stato opportuno ripetere l’esame autoptico. Considerando che l’investigazione tradizionale ha condotto sin dall'inizio ad uno scenario opposto a quello suicidario.

Tuttavia, ritenendo altamente probabile che, dopo gli esiti della consulenza medico-legale la Procura chiederà l’archiviazione, non è escluso che la perizia venga ordinata dal gip quando il Pm avanzerà la richiesta in parola.

Perché Liliana potrebbe non essersi suicidata?

Gli accertamenti sui telefoni qualche mese fa avevano dato una certezza granitica: Liliana aveva imboccato una strada ben precisa. Lontana da Sebastiano.

Difatti, in rete la donna cercava informazioni su come divorziare senza avvocato e su potenziali appartamenti da prendere in affitto.

Nessuna key words, invece, riconducibile alle modalità con le quali togliersi la vita. Nessun riferimento neppure all’utilizzo di sacchi di plastica e alle morti per soffocamento.

Senza considerare, poi, il messaggio inviato all’amico speciale Claudio nelle ventiquattro ore antecedenti alla scomparsa. “In relax pensando a te, amore mio”.

Liliana col marito Sebastiano
Liliana col marito Sebastiano

È indubbio che Liliana si trovasse ad un bivio esistenziale, ma le conversazioni con Claudio fugano ogni incertezza su quali fossero le sue effettive volontà. Esattamente quattro giorni dopo Lilli e Claudio avrebbero dovuto fare un fine settimana romantico fuori porta.

Tutte affermazioni di Sterpin, certo, ma che hanno trovato riscontro nella messaggistica rintracciata nei loro telefonini. Dunque, quella della Resinovich era una progettualità a breve termine che mal si sposava con il compimento dell’estremo gesto.

La borsa, le chiavi di casa e la fede nunziale

Il cadavere di Lilly è stato rinvenuto con addosso una borsetta nera vuota. Al contrario, documenti portafogli e i cellulari sono stati disposti in una borsa chiara griffata all'interno della sua abitazione.

Anche in questo caso il diavolo potrebbe annidarsi nei dettagli. Parenti ed amici hanno da subito raccontato che Liliana era solita utilizzare borse chiare in estate e borse scure in inverno.

Un particolare non di poco conto. È davvero plausibile che prima di togliersi la vita la donna abbia riposto i propri effetti personali in una borsa che mai utilizzava in quel periodo dell'anno?

Oppure, chi eventualmente le ha fatto del male, non ha prestato attenzione alle abitudini della Resinovich e abbia selezionato una borsa a caso?

Un’altra anomalia è quella connessa al mancato rinvenimento della fede all’anulare sinistro di Liliana. L’anello è stato infatti rinvenuto nell’abitazione.

Perché un simile gesto? Per prendere, in qualunque modo, le distanze dal marito anche dopo la morte? O, per converso, si può ipotizzare che se la sia sfilata in occasione di una lite furibonda? Non lo sapremo mai.

Così come mai sapremo che fine hanno fatto le chiavi di casa originali, dal momento che in tasca della donna sono state rinvenute quelle di riserva che mai utilizzava abitualmente.

Resta poi un'altra circostanza anomala. La mattina della scomparsa Lilli ha assunto un multivitaminico, mentre i tossicologici hanno escluso l’assunzione di benzodiazepine. Chi potrebbe mai suicidarsi dopo aver assunto vitamine? Secondo i consulenti della procura Liliana Resinovich.

Il marito Sebastiano Visintin

Ad alimentare il giallo hanno certamente contribuito i comportamenti del marito Sebastiano, mai stato indagato. È bene ribadirlo. Anzitutto, l’uomo ha effettuato denuncia per allontanamento volontario della moglie soltanto alle 22 del 14 dicembre.

E soltanto dietro sollecitazione dei vicini di casa, allarmati dall’amico speciale. Dunque, e questo è un dato incontrovertibile, Visintin ha mentito almeno su di un punto. Il suo matrimonio non era idilliaco come ha sempre sostenuto.

Dal momento che, conducendo i due una vita abitudinaria, sarebbe stato fisiologico pensare al peggio quando non la vedeva rientrare. Avrebbe dovuto chiamare gli ospedali, non ipotizzare un allontanamento volontario.

A diversa conclusione, invece, può giungersi se l’uomo avesse avuto la contezza che il suo matrimonio era ormai giunto al capolinea.

C'è poi il racconto degli amici Laura e Pino. I due hanno raccontato in molteplici interviste televisive come Sebastiano, due giorni dopo la scomparsa, avesse portato loro alcuni oggetti appartenenti a Lilli: una macchina fotografica, un cuore in pietra e un hard-disk contenente alcune foto di coppia.

Per quale ragione? Visintin ha sempre dichiarato di non essere a conoscenza di dove Lilli potesse essere andata. Quindi, per quanto ne sapeva, avrebbe potuto rincasare da un momento all’altro.

Forse, l’uomo non accettava l’idea che la sua storia con Liliana fosse terminata. Motivo per il quale non avrebbe risposto, il pomeriggio del 14 dicembre, alle telefonate sul cellulare della moglie. Dall’altra parte del telefono c’era Claudio Sterpin.

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 L’amico speciale Claudio Sterpin

In tutta questa strana vicenda, l'amico speciale della Resinovich, Claudio Sterpin, ha avuto fin dall’inizio un comportamento lineare e coerente. Tutto ciò che ha dichiarato ha trovato un riscontro incontrovertibile negli accertamenti disposti dalla Procura. Claudio e Liliana erano legati da un rapporto più che amicale.

Il terriccio sotto le scarpe e la questione il Dna

Ad avvalorare la pista suicidaria, invece, oltre al mancato riscontro autoptico di segni di violenza e da difesa sul corpo di Liliana, c’è la il mancato ravviso sui sacchi di un Dna attribuibile ad un soggetto terzo.

Per converso, sotto le suole zigrinate delle scarpe di Lilli, è stata riscontrata la presenza di un terriccio compatibile con quello dell’ex ospedale psichiatrico dove la donna è stata ritrovata cadavere. Dato quest’ultimo che confermerebbe l’arrivo in quel bosco con le proprie gambe.

Che cosa succede adesso?

Stante gli esiti della consulenza medico legale a questo punto è verosimile l’ipotesi per la quale il Pm richiederà, a norma dell’art. 408 cpp, l’archiviazione.

In questa direzione, il giudice per le indagini preliminari avrebbe a disposizione due strade. La prima. Accogliere la richiesta della pubblica accusa e pronunciare decreto motivato di archiviazione.

La seconda. Il Gip potrebbe non accogliere la richiesta e fissare un'apposita udienza in camera di consiglio.

E, al termine della stessa, potrebbe ordinare al pubblico ministero lo svolgimento di ulteriori indagini. Vi è anche un’altra strada, percorribile questa volta dai familiari di Liliana Resinovich.

Ed è altamente probabile che verrà percorsa. Considerata la fermezza con la quale il fratello Sergio ha sempre respinto l’ipotesi che sua sorella potesse essersi tolta la vita. La strada è quella di presentare opposizione alla richiesta di archiviazione.

Difatti, quest’ultima consente di domandare la prosecuzione delle indagini preliminari a condizione che venga indicato l’oggetto delle indagini supplettive ed i relativi elementi di prova che ne fondano la necessità.

Il tempo anche in questo caso è tiranno.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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