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La lettera di Mario prima del suicidio assistito: “Ora posso volare, ricordatemi col sorriso”

Federico Carboni è il primo paziente del nostro Paese ad accedere al suicidio medicalmente assistito e legale. Prima di morire ha scritto una lettera ai suoi cari e agli italiani.
A cura di Giacomo Andreoli
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"Per favore niente piagnistei, ricordatemi con un sorriso". Nella lettera con cui si congeda dalla vita Federico Carboni, conosciuto negli ultimi mesi con il nome di fantasia "Mario", invita i suoi cari e tutta l'Italia a salutare il suo suicidio medicalmente assistito come una notizia positiva, perché segna un passaggio importante per la sua storia personale e per i valori civili del Paese.

"Essendo stato il primo in Italia – dice anche in un video registrato qualche giorno fa- ci ho messo 20 mesi e mi auguro che le prossime persone che ripercorrono la mia strada ci mettano molto meno tempo perché 20 mesi, per chi sta male e soffre, sono veramente veramente lunghi".

Nella lettera, rivolto ai parenti, aggiunge: "se avrete un nodo alla gola o vi scenderà una lacrima fermatevi fate un bel respiro e sorridete, perché se mi avete conosciuto ricorderete com’ero, sempre con la battuta pronta, a scherzare, di buon umore e senza mai lamentarmi". Prima di morire, quello che è il primo paziente italiano per cui viene applicata la sentenza Cappato-Dj Fabo della Consulta del 2019, ha chiesto che gli facessero la barba e lo vestissero con attenzione, per avere un po' di eleganza nei suoi ultimi momenti. Federico non nega di essere in parte triste. "Sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario – scrive- perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così e io sono allo stremo sia mentale sia fisico".

Poi si rivolge agli amici dell'Associazione Luca Coscioni, che lo hanno aiutato nel corso dell'ultimo anno in una serie di battaglie legali e poi pagandogli la strumentazione necessaria al suicidio assistito (con un'apposita raccolta fondi). In alcuni disegni pubblicati sul sito dell'Associazione l'uomo veniva ritratto con delle sbarre che lo imprigionavano al letto. "Ora levate quelle sbarre – dice Federico- perché finalmente sono libero di volare dove voglio". Quindi si rivolge alla madre, che gli è stata accanto per gli ultimi dodici anni di sofferenze, con un chiaro e commuovente: "Ma’, vado, ma tanto lo sai che resto qui con te".

Pochi giorni prima di morire, poi, dopo l'ennesima infezione, i dolori insopportabili e la febbre alta, aveva detto: "Non so se tutti capiranno mai e accetteranno mai la mia scelta, perché in queste condizioni ci sono io e parlare da esterni è facile. Non ho un minimo di autonomia nella vita quotidiana, sono in balia degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell’oceano". Ma ora quella barca ha trovato un'isola di pace.

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