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Covid 19

Il coronavirus è l’Ebola dei ricchi e la catastrofe della Lombardia potrebbe verificarsi ovunque

Un gruppo di medici dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo ha inviato una lunga lettera al New England Journal of Medicine per denunciare ciò che sta accadendo non solo nel loro nosocomio ma in tutta la Lombardia, denunciando una situazione sanitaria allo stremo e una gestione sbagliata dell’intera emergenza coronavirus: “È un grido di allarme struggente e un atto di accusa durissimo”, si legge nell’introduzione.
A cura di Chiara Ammendola
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È una lunga lettera quella che i medici dell'Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo hanno inviato a una rivista del gruppo New England Journal of Medicine: è insieme un grido d'allarme struggente e un atto di accusa durissimo. Nelle tante righe scritte da Mirco Nacoti, Andrea Ciocca, Angelo Giupponi, Pietro Brambillasca, Federico Lussana, Michele Pisano, Giuseppe Goisis, Daniele Bonacina, Francesco Fazzi, Richard Naspro, Luca Longhi, Maurizio Cereda e Carlo Montaguti e tradotte da Fabio Sabatini si racconta la situazione non solo nel nosocomio di Bergamo, ma anche negli altri ospedali lombardi ormai allo stremo. E insieme si fa un'analisi anche degli errori che secondo il gruppo di medici sarebbero stati fatti dal governo centrale e regionale nella gestione dell'emergenza coronavirus.

Le famiglie sono avvisate del decesso dei loro cari per telefono

"Lavoriamo all'Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, una struttura all'avanguardia con 48 posti di terapia intensiva. Nonostante Bergamo sia una città relativamente piccola, è l'epicentro dell'epidemia con 4305 casi, più di Milano e di qualsiasi altro comune nel paese – inizia così la lunga lettera che poi continua – il nostro ospedale è altamente contaminato e siamo già oltre il punto del collasso: 300 letti su 900 sono occupati da malati di Covid-19. Più del 70% dei posti in terapia intensiva sono riservati ai malati gravi di Covid-19 che abbiano una ragionevole speranza di sopravvivere".

La situazione è così grave che siamo costretti a operare ben al di sotto dei nostri standard di cura. I tempi di attesa per un posto in terapia intensiva durano ore.

I pazienti più anziani non vengono rianimati e muoiono in solitudine senza neanche il conforto di appropriate cure palliative.

Le famiglie non possono avere alcun contatto coi malati terminali e sono avvisate del decesso dei loro cari per telefono, da medici benintenzionati ma esausti ed emotivamente distrutti.

Nelle zone circostanti la situazione è anche peggiore. Gli ospedali sono sovraffollati e prossimi al collasso, e mancano le medicazioni, i ventilatori meccanici, l'ossigeno e le mascherine e le tute protettive per il personale sanitario.

Il sistema sanitario fatica a fornire i servizi essenziali come l'ostetricia, mentre i cimiteri sono saturi e (l'accumulazione dei cadaveri, ndt) crea un ulteriore problema di salute pubblica.

I medici parlano di dottori e infermieri che operano lontano da tutele e sicurezza: "Il personale sanitario è abbandonato mentre tenta di mantenere gli ospedali in funzione. Fuori dagli ospedali, le comunità sono parimenti abbandonate, le vaccinazioni sono sospesi e la situazione nelle prigioni sta diventando esplosiva per mancanza di distanziamento sociale". "Siamo in quarantena dal 10 marzo. Purtroppo il resto del mondo sembra non essersi accorto che a Bergamo l'epidemia è fuori controllo".

C'è bisogno di un cambio di prospettiva verso un approccio community-centered care

Nella lettera si fa poi riferimento a un approccio del sistema sanitario italiano che rispecchia quello dei paesi occidentali: "I sistemi sanitari occidentali sono stati costruiti intorno al concetto di patient-centered care – si legge – ma un'epidemia richiede un cambio di prospettiva verso un approccio community-centered care. Stiamo dolorosamente imparando che c'è bisogno di esperti di salute pubblica ed epidemie. A livello nazionale, regionale e di ogni singolo ospedale ancora non ci si è resi conto della necessità di coinvolgere nei processi decisionali chi abbia le competenze appropriate per contenere i comportamenti epidemiologicamente pericolosi".

Per esempio, stiamo imparando che gli ospedali possono essere i principali veicoli di trasmissione del Covid-19, poiché si riempiono rapidamente di malati infetti che contagiano i pazienti non infetti.

Lo stesso sistema sanitario regionale contribuisce alla diffusione del contagio, poiché le ambulanze e il personale sanitario diventano rapidamente dei vettori. I sanitari sono portatori asintomatici della malattia o ammalati senza alcuna sorveglianza.

Alcuni rischiano di morire, compresi i più giovani, aumentando ulteriormente le difficoltà e lo stress di quelli in prima linea.

Secondo i medici l'emergenza poteva essere affrontata diversamente ma soprattutto ciò che sta accadendo in Italia e soprattutto in Lommbardia poteva essere evitato "con un massiccio spiegamento di servizi alla comunità, sul territorio. Per affrontare la pandemia servono soluzioni per l'intera popolazione, non solo per gli ospedali: cure a domicilio e cliniche mobili evitano spostamenti non necessari e allentano la pressione sugli ospedali. Ossigenoterapia precoce, ossimetri da polso, e approvvigionamenti adeguati possono essere forniti a domicilio ai pazienti con sintomi leggeri o in convalescenza". E poi la proposta di creare "un sistema di sorveglianza capillare che garantisca l'adeguato isolamento dei pazienti facendo affidamento sugli strumenti della telemedicina". In questo modo si "limiterebbe l'ospedalizzazione a un gruppo mirato di malati gravi, diminuendo così il contagio, proteggendo i pazienti e il personale sanitario e minimizzando il consumo di equipaggiamenti protettivi"

Non ci sono compromessi da fare: i medici negli ospedali vanno protetti per evitare il contagio

"Negli ospedali si deve dare priorità alla protezione del personale medico. Non si possono fare compromessi sui protocolli; l'equipaggiamento deve essere disponibile. Le misure per prevenire il contagio devono essere implementate massicciamente ovunque, compresi i veicoli – continua la lettera invita dal Papa Giovanni XXIII – abbiamo bisogno di strutture ospedaliere interamente dedicate al Covid-19 e separate dalle aree non contagiate".

Questa epidemia non è un fenomeno che riguarda soltanto la terapia intensiva, è una crisi umanitaria e di salute pubblica. Richiede l'intervento di scienziati sociali, epidemiologi, esperti di logistica, psicologi e assistenti sociali.

Abbiamo urgente bisogno di agenzie umanitarie che operino a livello locale.

L'OMS ha lanciato l'allarme sugli allarmanti livelli di inazione (dei paesi occidentali, ndt). Sono necessarie misure coraggiose per rallentare l'infezione.

Il lockdown è fondamentale: in Cina il distanziamento sociale ha ridotto la trasmissione del contagio di circa il 60%. Ma non appena le misure restrittive saranno rilassate per evitare di fermare l'economia, il contagio ricomincerà a diffondersi.

"Abbiamo bisogno di un piano di lungo periodo per contrastare la pandemia – conclude la lettera – il coronavirus è l'Ebola dei ricchi e richiede uno sforzo coordinato e transnazionale. Non è particolarmente letale, ma è molto contagioso. Più la società è medicalizzata e centralizzata, più si diffonde il virus. La catastrofe che sta travolgendo la ricca Lombardia potrebbe verificarsi ovunque".

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