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Omicidio Giulia Cecchettin

Cosa dice il memoriale di Turetta del suo rapporto con Giulia Cecchettin: racconto di quotidiana prevaricazione

“Ho pensato di rapirla perché il pensiero che sarebbe tutto finito e che non avrei potuto più vederla o stare del tempo insieme a Lei era qualcosa che non volevo proprio. Desideravo prima di tutto trascorrere più tempo possibile insieme a Lei, da soli e questa sarebbe stata la soluzione”. Il rapimento, finanche il femminicidio scelti come modalità per imporre ancora una volta la propria volontà su quella di Giulia Cecchettin.
A cura di Margherita Carlini
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È un lungo memoriale quello che Filippo Turetta compone nel corso dei mesi trascorsi in carcere. Oltre ottanta pagine, alcune scritte a mano altre al computer, all’interno delle quali raccoglie i propri pensieri, anche dietro consiglio dei suoi avvocati, come premette.

Descrive il femminicidio di Giulia Cecchettin, le ragioni (le sue) che lo hanno portato a compiere quel gesto, le fasi che lo hanno preceduto e succeduto. Almeno questo sembra essere l’intento, perché in realtà il memoriale risulta piuttosto ridondante in riferimento a quelli che erano i suoi bisogni e le sue volontà e alla relazione con Giulia e molto povero riguardo ad aspetti, anche fattuali, correlati alla dinamica omicidiaria e agli elementi legati alla premeditazione che, come nelle dichiarazioni rese nel corso del processo, risultano invece sufficientemente contraddittori.

Le due cose che immediatamente saltano all’occhio osservando il memoriale è la modalità con cui fa riferimento a Giulia e (nella prima parte, quella, scritta a mano) la grafia.

Nelle 81 pagine che costituiscono il memoriale Turetta si riferisce a Giulia sempre in terza persona, senza scrivere mai il suo nome (ad eccezione di un passaggio che vedremo in seguito) ma utilizzando il pronome Lei, scritto con la prima lettera maiuscola. Così, come era emerso nel corso delle dichiarazioni rese in aula (nel corso delle quali Giulia Cecchettin non veniva mai nominata con il suo nome, ad indicare un processo di depersonalizzazione posto in essere già prima del femminicidio), anche nel memoriale l’uso del Lei appare indicativo di un legame formale più che sostanziale o emotivamente significativo.

Filippo Turetta in aula
Filippo Turetta in aula

Come se Giulia non fosse tanto una persona che identifica appunto con il suo nome, ma un’entità a cui lui fa riferimento in maniera strettamente ed egoisticamente funzionale, con la quale non riesce a stabilire un legame affettivo autentico. Un distanziamento emotivo che probabilmente lo protegge anche da un proprio giudizio rispetto al gesto che ha posto in essere.

Il secondo elemento che risulta significativo è la grafia di Turetta, un tratto grafico che sembra ancora in via di una definizione autentica, in corrispondenza al funzionamento di un soggetto che non ha ancora trovato, appunto una propria strutturazione identitaria.

Questo è apprezzabile anche dal racconto che Turetta fa di se stesso, a partire dall’inserimento all’asilo nido, fino ad arrivare all’università e quindi alla conoscenza con Giulia. Un racconto che si risolve in poche righe, privo di dettagli significativi ed emotivamente povero, nel corso del quale Turetta si descrive come un ragazzo con difficoltà ad entrare in relazione con gli altri e sostanzialmente privo di interessi ed obiettivi significativi.

Un funzionamento il suo che lo aveva portato, nel corso del suo sviluppo ad essere piuttosto solo e sostanzialmente insoddisfatto di se stesso e della sua vita. “Durante questi anni della mia vita ho sempre avuto pochi amici ed è la cosa che spesso mi dispiaceva di più […] ero molto timido e non riuscivo a costruire rapporti veri. Ero molto invidioso di come era e del carattere di tanti altri che invece erano esuberanti […] sembravano avere una vita molto più felice della mia […] non ho mai avuto sogni, obiettivi o passioni sentite che inseguivo”.

Fino all’incontro con Giulia.

Giulia Cecchettin
Giulia Cecchettin

Questo è l’unico passaggio del memoriale in cui scrive il suo nome “Giulia ed io, che eravamo comunque nello stesso gruppo di amici, abbiamo iniziato a scriverci e a frequentarci. Io e Giulia ci siamo fidanzati il 22 gennaio 2022”. È da questi primi momenti che Giulia diventa per Turetta il tramite per la propria felicità, per la propria realizzazione ed identificazione. È proiettandosi in lei, nei suoi successi, nei suoi obiettivi, vivendo sostanzialmente ed ossessivamente la vita di Giulia che Turetta trova un senso nella propria. “Spesso è come se diverse volte sostituissi la mia vita con la sua”.

Per Turetta Giulia aveva il dovere di renderlo felice, di vivere come lui voleva “devi aiutarmi non ce la faccio senza il tuo aiuto […] Perché non vuoi aiutarmi non è giusto […] Se non ci laureiamo insieme la vita è finita per entrambi”, le scrive dopo che lei si era rifiutata di aderire alle sue aspettative.

È ricorrente il tema della solitudine e dell’isolamento, tematiche che diventeranno dirimenti anche nella scelta di uccidere Giulia – “mi immaginavo una solitudine eterna che avrei dovuto vivere e temevo questo più di qualsiasi altra cosa”  –  indicative di come Turetta percepisca il rifiuto e la diretta conseguenza della solitudine come una ferita narcisistica intollerabile.

Ecco che la relazione con Giulia si traduce in una simbiosi fondata sull’ossessione, sul possesso e sul controllo estremo. Turetta non ammette che Giulia abbia una vita al di fuori di quella che condivide con lui, perché questo lo fa sentire escluso e quindi in pericolo. Lo racconta perfettamente quando riporta di un litigio avvenuto perché Giulia, legittimamente, una mattina aveva scelto di fare colazione con una sua amica senza coinvolgerlo. “Io mal sopportavo che uscisse con componenti del nostro gruppo di amici senza venire incluso o senza saperlo”.

Lui la fotografa ossessivamente, riferendo di avere circa ventimila foto che la ritraggono o li ritraggono insieme, vuole essere sempre con lei o in alternativa sapere quello che Giulia sta facendo, pretendendo di sentirla più volte al giorno (con chiamate e videochiamate) e farselo raccontare.

Fino a quando Giulia non decide di interrompere definitivamente la relazione il 16 marzo del 2023. Man mano che Giulia prova a emanciparsi da questo controllo asfissiante, decidendo ad esempio di non dargli più la buonanotte tutte le sere, di impedirgli di controllare i suoi accessi su WhatsApp o di essere parte costante delle sue giornate in Turetta acuisce la volontà di trovare una soluzione per porre fine a questa situazione.

“Iniziai a pensare che fosse ingiusto che io non ce la facessi più a fare niente, stessi molto male e fossi solo in tutto questo e lei invece di aiutarmi e starmi vicino […] si stesse allontanando sempre di più”. Lo fa prima formulando dei pensieri, che poi diventano una lista e poi azione.

“Ho pensato di rapirla perché il pensiero che sarebbe tutto finito e che non avrei potuto più vederla o stare del tempo insieme a Lei era qualcosa che non volevo proprio. Desideravo prima di tutto trascorrere più tempo possibile insieme a Lei, da soli e questa sarebbe stata la soluzione”.

Il rapimento, finanche il femminicidio scelti come modalità per imporre ancora una volta la propria volontà su quella di Giulia. Fino alla fine.

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Sono Psicologa Clinica, Psicoterapeuta e Criminologa Forense. Esperta di Psicologia Giuridica, Investigativa e Criminale. Esperta in violenza di genere, valutazione del rischio di recidiva e di escalation dei comportamenti maltrattanti e persecutori e di strutturazione di piani di protezione. Formatrice a livello nazionale.
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