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Coronavirus, l’infettivologo: “La Sars ha fatto meno morti? Sì, ma era più letale”

Massimo Andreoni, professore di Malattie infettive del policlinico Tor Vergata di Roma, ha parlato del confronto tra il nuovo coronavirus di Wuhan e la Sindrome respiratoria acuta grave: “In numero assoluto le morti in Cina per coronavirus hanno superato quelle della Sars, ma il tasso di letalità del coronavirus rimane del 2,5%, contro il 9% della Sars”.
A cura di Susanna Picone
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È notizia di oggi che i morti in Cina legati al nuovo coronavirus di Wuhan (il bilancio aggiornato è di 361 vittime) hanno superato i decessi causati dalla Sindrome respiratoria acuta grave (Sars) che nel 2002-2003 furono 349, secondo i numeri ufficiali dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Un dato sicuramente importante, ma secondo Massimo Andreoni, professore di Malattie infettive del policlinico Tor Vergata di Roma, va sottolineato che questo non significa che il nuovo virus che sta spaventando la Cina e il mondo intero sia più letale della Sars. "Il fatto che il coronavirus abbia fatto registrare al momento, in Cina, più morti della Sars è un dato rilevante, ma che non significa che questo virus sia più letale", ha spiegato all'Adnkronos Salute Andreoni. "Le morti globali provocate dalla Sars sono state ben superiori e il numero di decessi bisogna sempre ricordare che è correlato con il numero delle infezioni: in numero assoluto le morti in Cina per coronavirus hanno superato quelle della Sars, ma il tasso di letalità del coronavirus rimane del 2,5%, contro il 9% della Sars", ha aggiunto l’infettivologo.

La Sars rimane una malattia più letale – Secondo l’esperto italiano, in termini di aggressività la Sars rimane dunque una malattia più letale: “L'Italia ha messo in atto tutti gli interventi corretti e che devono esser intrapresi per tenere sotto controllo la situazione. Anche aver isolato il virus è un elemento importante perché anche noi, come altri Paesi che lo hanno già isolato, abbiamo a disposizione il virus per mettere in atto tutte quelle strategie che richiedono di avere questo materiale: testare nuovi farmaci, controllare la risposta immunitaria dei pazienti, ricercare gli anticorpi neutralizzanti e, idealmente, sviluppare un vaccino. Ma credo che per farmaci e vaccini sia più probabile che sia l'industria farmaceutica, che ha tutte le attrezzature a disposizione, piuttosto che lo Stato italiano, a poter portare avanti le attività. Ma è stata una buona occasione per dimostrare le capacità dei nostri centri di ricerca", ha detto ancora Andreoni in riferimento al nuovo coronavirus. La notizia che il virus è stato isolato all'ospedale Spallanzani di Roma è di ieri: tre ricercatrici italiane le protagoniste dell'importante scoperta, Concetta Castilletti, Maria Rosaria Capobianchi e Francesca Colavita.

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