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Coronavirus, l’immunologo Le Foche: “Primi 7 giorni di malattia fondamentali, sprechiamo tempo”

“Se facessimo tamponi rapidi a chi ha pochi sintomi e iniziassimo subito a curarli, molti pazienti non avrebbero bisogno dell’ospedale” sostiene Francesco Le Foche, infettivologo e responsabile del Day Hospital di immunoinfettivologia al Policlinico Umberto I Università La Sapienza di Roma. “La fase iniziale della patologia è importantissima e la stiamo sottovalutando: è gravissimo” ha aggiunto l’esperto.
A cura di Antonio Palma
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Per ogni caso di coronavirus in Italia si starebbe sprecando troppo tempo prezioso quando invece le cure dovrebbero essere messe in atto immediatamente per aumentare le speranze di vita dei pazienti e diminuire la pressione sugli ospedali, a sostenerlo è Francesco Le Foche, responsabile del Day Hospital di immunoinfettivologia al Policlinico Umberto I Università La Sapienza di Roma. Per l'esperto è fondamentale aumentare il numero di tamponi per individuare quanti più contagiati possibile in modo da avviare subito le cure che in molti casi potrebbero anche consentire di non far ricorso all'ospedale. "I primi 7 giorni di malattia sono fondamentali. Se facessimo tamponi rapidi a chi ha pochi sintomi e iniziassimo subito a curarli, molti pazienti non avrebbero bisogno dell'ospedale" ha spiegato infatti l'infettivologo all'ANSA, aggiungendo: "La fase iniziale della patologia è importantissima e la stiamo sottovalutando: è gravissimo il fatto che non si agisca, laddove possiamo ridurre il danno". "I contagiati individuati precocemente "dovrebbero esser trattati a domicilio dalla medicina del territorio e questo non viene fatto. Il rapporto costo-beneficio, sia dal punto di vista umano che economico, sarebbe enorme" ha ribadito Le Foche

"Le terapie intensive sono in sovraccarico perché abbiamo un ritardo nell'individuare i pazienti con sintomi e nell'iniziare a trattarli con antivirali che permettono di ridurre la replicazione del virus e evitare il peggioramento" sostiene Le Foche, sottolineando che "nelle prime 72 ore dopo i primi sintomi di Covid-19 avviene il danno virale nelle cellule del polmone profondo". "Dopo c'è una risposta del sistema immunitario, che crea una infiammazione simile a quella che si rileva nelle polmoniti interstiziali autoimmuni e dovuta alla cascata citochinica, che si sovrappone al danno fatto da virus. E, dopo circa 7 giorni, si arriva a un bivio: L'80% dei casi migliora, l'altro 20% può andare incontro a un interessamento del polmone profondo che induce una polmonite interstiziale bilaterali", ha spiegato l'immunologo.

"Sprechiamo tempo prezioso perché nella prima settimana abbiamo una artiglieria che non risponde. Per questi pazienti, oggi in Italia non si fa nulla, spesso non vengono individuati e quelli individuati vengono solo messi in isolamento domiciliare fiduciario"  ha affermato ancora l'esperto consigliando di individuare e trattare subito anche il paziente paucisintomatico "con idrossiclorodina, vecchio antimalarico orale, molto attivo sia come immunomodulante che nell'abbassare la capacità del virus di replicarsi, e tollerabilissimo". Non solo , secondo Le Foche si sono poi marcatori sierologici che "andrebbero utilizzati per individuare precocemente, con analisi del sangue da effettuare già nei primi 4 giorni, coloro che andranno incontro a una risposta immunologica molto forte, che porta alla terapia intensiva. A questi pazienti si può iniziare il trattamento con tocilizumab, farmaco per l'artrite, per il quale è partita una sperimentazione".

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