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Guerra in Ucraina

Ci sono bastati 100 giorni per assuefarci completamente alla guerra in Ucraina

La politica pensa alla campagna elettorale, i cittadini cambiano canale cercando qualcosa di più leggero e i movimenti per la pace sono quasi spariti. La paura si è cristallizzata nelle nostre menti, ma la vita continua. Anche se alla guerra in Ucraina ci siamo abituati davvero troppo in fretta.
A cura di Tommaso Coluzzi
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Bombe, missili, molotov. Carri armati, Stinger. Aerei militari, navi da guerra. Colpiti ospedali e scuole. Famiglie che scappano. Figli che restano. Città sventrate. Cartoline di miseria e disperazione. Video crudi e atroci. Tutto in diretta, su ogni media, praticamente ventiquattro ore al giorno. Da cento giorni. Ci è bastato questo per abituarci, per assuefarci completamente alla guerra in Ucraina. Ci sono bastati cento giorni di morte e distruzione. Cento giorni di un'aggressione feroce che ha fermato per un po' le lancette dei nostri orologi interiori. Poi, poco alla volta, il tempo è ripartito per tutti. Con le sue priorità, diverse per ognuno di noi.

Di marce per la pace se ne vedono sempre meno, un po' perché ci si è rassegnati al fatto che la guerra sia qualcosa di cui deve occuparsi la politica ai più alti livelli, un po' perché abbiamo bollato troppo presto i pacifisti come putiniani. Almeno in Italia, però, la politica – nessuno escluso – ha già cominciato una lunghissima campagna elettorale. Così l'Ucraina è finita dentro un calderone che comprende anche il riarmo, il gas, le politiche energetiche a lungo termine, le concessioni balneari, il reddito di cittadinanza, la giustizia, il lavoro, il cuneo fiscale, i migranti, le tasse. Intanto i movimenti per la pace sono marginali, oscurati e ostracizzati dal dibattito pubblico.

Ma al di là di tutto questo, la sera, quando accendiamo il televisore e sentiamo parlare ancora di guerra – per la centesima volta – diciamo basta. Saranno i due anni di Covid, raccontato – ora possiamo dirlo con certezza – con improprie metafore belliche, ma la saturazione è tale da trasformarsi in apatia. A dimostrarlo sono i talk show sulla guerra e i telegiornali, che da tempo hanno perso tutti i punti di share guadagnati nelle prime settimane di conflitto in Ucraina. Si cerca intrattenimento, si cerca svago. Si cerca di pensare ad altro e di preoccuparsi meno di quello che sta succedendo in un Paese che (stavolta) è tranquillamente raggiungibile in auto dall'Italia.

I generali dicono che sarà una guerra lunga e logorante, mentre da ogni parte del mondo rilanciano – più o meno ciclicamente – notizie di Putin in fin di vita che perciò sarebbe disposto a tutto. Rischio nucleare. Ma non ci fa più paura neanche questo. O meglio, la paura si è cristallizzata nella quotidianità. Nell'ultimo sondaggio di Euromedia Research per Porta a Porta è cresciuto ancora il fronte di chi non vuole inviare le armi in Ucraina: è il 51,5% contro il 38,2% che è a favore. Ma il dettaglio più interessante è che di quella metà e oltre di italiani che dice no agli aiuti militari – diventata subito una preda succulenta per i partiti politici come Lega e Movimento 5 Stelle, in crollo verticale di consensi da due anni – sette su dieci sarebbero contrari anche se sapessero con certezza che senza le armi italiane e occidentali l'Ucraina soccomberebbe in poco tempo all’invasione russa. Insomma, affari vostri.

Il punto, però, è proprio questo, per quanto semplice e scontato: non ci si deve mai abituare alla guerra. Non ci si può smettere di indignare davanti alle bombe sugli ospedali, ai corpi sventrati, alle immagini che scorrono davanti ai nostri occhi sui social senza più un filtro. Alcune sono prese da videogiochi, è vero, ma le persone ci cascano perché tutte le altre sembrano videogiochi anche se sono reali. Se l'Ucraina diventerà l'Afghanistan d'Europa dipenderà anche da noi, dalla nostra disaffezione verso l'indignazione. Certo non possiamo sederci al tavolo con Putin, ma possiamo continuare a parlarne, inchiodando la politica alle sue responsabilità. Certo non possiamo trattare personalmente la pace, ma possiamo chiederla ogni giorno a gran voce. Indignandoci.

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Giornalista, mi occupo di politica su Fanpage.it. Appassionato di temi noiosi, come le storie e i diritti degli ultimi: dai migranti ai giovani lavoratori sfruttati. Ho scritto "Il sound della frontiera", un libro sull'immaginario americano e la musica folk.
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