Caso Arata, Vito Nicastri parla con i pm: due nuovi arresti per corruzione
Nuova svolta nell’inchiesta sul faccendiere Francesco Paolo Arata, ex consulente del Vicepremier Salvini, arrestato all'inizio di giugno con l'accusa di corruzione perché ritenuto dagli inquirenti uno dei soci occulti dell’imprenditore trapanese dell’eolico Vito Nicastri, considerato dai magistrati tra i finanziatori della latitanza del boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. Nelle scorse ore infatti un nuovo blitz della Direzione investigativa antimafia ha portato all'arresto di altre due persone: un alto funzionario dell’assessorato all’Energia della Regione Siciliana e un imprenditore milanese. Entrambi sono accusati di una mazzetta da 500mila euro per agevolare una pratica alla Regione nel campo delle energie rinnovabili. Cosa ancora più importante ai fini investigativi, però, è che gli arresti sono il frutto della collaborazione dello stesso Vito Nicastri, il "re" dell'eolico siciliano considerato vicino ai clan.
Dopo l'arresto, infatti, Nicastri ha deciso di collaborare coi pm e per prima cosa ha svelato un giro di mazzette alla Regione siciliana in cui sarebbe direttamente coinvolto. In manette così è finito un suo ex socio e il funzionario regionale che avrebbe dovuto accelerare e favorire due impianti di biometano sull'Isola. Il funzionario pubblico è accusato di corruzione mentre l'imprenditore deve rispondere dei reati di intestazione fittizia di beni, autoriciclaggio e corruzione, gli stessi di cui sono accusati anche Arata e Nicastri di cui lui sarebbe socio occulto. Per entrambi gli arrestati disposta la custodia cautelare ai domiciliari.
Secondo l'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido e dal pm Gianluca De Leo, il funzionario arrestato in queste ore sarebbe stato il tramite tra Nicastri e l'altro funzionario che firmava le autorizzazioni, già arrestato nei mesi scorsi insieme ai figli di Arata e Nicastri. Gli arresti di oggi riguardano in particolare gli impianti dovevano essere costruiti a Francoforte e Calatafimi. Secondo l'accusa, la mazzetta pattuita sarebbe stata di 500mila euro di cui i primi centomila sarebbero già stati consegnati, il resto invece doveva essere versato alla firma dell’autorizzazione.