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“Attenti al cane”, il celebre cartello era già usato dagli antichi romani: ecco perché

La proverbiale scritta “Cave canem” posta all’ingresso delle abitazioni pompeiane è oggi consuetudine. Ma l’antica usanza, messa in pratica da moltissimi nobili romani, nasconde forse significati simbolici molto più affascinanti di quello che si pensa.
A cura di Federica D'Alfonso
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Il celebre mosaico "Cave canem" nella Casa del Poeta Tragico di Pompei.
Il celebre mosaico "Cave canem" nella Casa del Poeta Tragico di Pompei.

Nel suo Satyricon, Petronio racconta che il povero Encolpio quasi svenne per la paura nel vedere il gigantesco cane nero a ridosso delle mura d’ingresso della casa del ricco Trimalcione. Peccato che quell’animale, dall’aspetto così feroce, fosse in realtà un dipinto: il divertente episodio letterario testimonia l’antichità di un’usanza assai diffusa al giorno d’oggi ma che ha origini molto antiche. Oltre a significati simbolici molto affascinanti.

La consuetudine di avvertire i visitatori della presenza di un feroce mastino entro le mura della proprietà è molto diffusa: il suo scopo è puramente precauzionale, se vogliamo simbolico, utile a scoraggiare qualsiasi avventore tenti di addentrarsi nella propria abitazione senza permesso. Questa usanza, che oggi passa addirittura inosservata agli occhi dei più, era molto sentita invece dagli antichi romani: moltissime domus, soprattutto quelle dei patrizi più ricchi, non mancavano di esporre particolarissimi avvertimenti circa la presenza di un cane da guardia.

I mosaici e i cani di Pompei: simboli di fedeltà

Il mosaico della Casa di Orfeo, oggi conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Il mosaico della Casa di Orfeo, oggi conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Gli esempi più celebri e meglio conservati dell’antenato del cartello “Attenti al cane!” si trovano a Pompei: divenuto quasi emblema della città vesuviana, il mosaico “Cave canem” venne portato alla luce sul pavimento della Casa del Poeta Tragico durante le prime campagne di scavo, ed è recentemente stato sottoposto ad un’importante intervento di restauro. Oltre a questo, altri due esemplari furono rinvenuti nella casa di Paquio Proculo e in quella di Orfeo: il secondo, privo della tradizionale scritta intimidatoria, è oggi conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Che sia al guinzaglio o liberamente accucciato, raffigurato in un mosaico o dipinto su un muro in attesa dei visitatori, il cane pompeiano era considerato un vero e proprio guardiano dai ricchi signori romani.

Ce lo ricorda, come si diceva, anche Petronio nella sua opera più famosa: “canis ingens, catena vinctus, in pariete erat pictus, superque quadrata littera scriptum ‘cave canem’”. Una particolare affinità, quella raccontata nel poema e quella presente sulle abitazioni di Pompei, che porta a pensare che l’intimidazione canina fosse molto di più che una semplice precauzione: d’altra parte, sebbene sia attestato come già nell’antichità il cane fosse ritenuto un ottimo animale da guardia, come testimoniato da un calco in gesso riportato alla luce davanti ad un’altra abitazione di Pompei, la maggior parte dei signori preferiva animali di piccola taglia, per diletto e compagnia più che per difendersi.

Il feroce esemplare di mastino nero ringhiante era importante, dunque, soprattutto per la sua funzione simbolica: del cane i romani lodavano l’estrema fedeltà, l’obbedienza, la nobiltà d’animo e la grande intelligenza. Porre dunque l’animale all’ingresso della propria abitazione doveva voler dire, oltre all’invito a prestare la massima attenzione, che nel luogo tali virtù, grandemente apprezzate, erano proprie in primis del padrone di casa.

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