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Opinioni

Apriamo gli occhi: perché i nostri risparmi sono in pericolo

Questa volta il Cigno nero, per quanto potrà apparire incredibile, lo stiamo fabbricando da soli con le nostre mani, anzi per la precisione con le nostre bocche. Apriamo gli occhi e facciamoci sentire. Aiuteremo il cambiamento. Quello vero. Aiuteremo il cambiamento a diventare effettivo, a scendere dalla luna in terra, a fare i conti con la realtà o, alternativamente, avremmo almeno contribuito a evitare la deriva.
A cura di Roberto Napoletano
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Ho scritto questa lettera agli italiani, donne e uomini, madri e padri, ma soprattutto giovani, perché ritengo che continuare a stare zitti non sia più consentito. Il tempo che permette di minimizzare tutto – balle spaziali, dilettantismi di ogni genere, il costo del vaniloquio e la reputazione della firma sovrana italiana di nuovo a rischio – è scaduto da un pezzo. Mi sono fatto il mio giornale quotidiano per tutta l’estate, non ne so fare a meno, e ne è venuto fuori Apriamo gli occhi. Nel novembre del 2011 dirigevo “Il Sole 24 ore” e feci un titolo a caratteri cubitali, FATE PRESTO, perché erano in gioco il lavoro e il risparmio degli italiani per più di una generazione.

Il nostro paese era alle prese con il primo Cigno nero della sua storia economica, portato in “dote” dalla crisi di credibilità e dalle divisioni del governo Berlusconi sotto il peso di un macigno che si chiama debito pubblico, ma ancora di più dalla crisi sovrana greca non capita e mal gestita e dai giochetti libici e finanziari dei cugini francesi. Qualcosa che ha determinato, in casa nostra, una delle più clamorose fughe di cervelli conosciute da un paese dell’Occidente e danni superiori a quelli di una terza guerra mondiale persa. Senza l’atto risolutore del Cavaliere bianco, il presidente della BCE Mario Draghi, e il suo celebre whatever it takes, la mossa giusta nel momento politicamente perfetto, che è la prima qualità richiesta a un banchiere centrale, e il suo “coraggio americano” consegnato alla storia, non ne saremmo mai usciti. Oggi con lo stesso rigore e con la stessa passione dico: APRIAMO GLI OCCHI.

Questa volta il Cigno nero, per quanto potrà apparire incredibile, lo stiamo fabbricando da soli con le nostre mani, anzi per la precisione con le nostre bocche. Prime file, seconde e terze file del governo gialloverde si sono messe a giocare con le parole un giorno sì e l’altro pure: ci vuole coraggio, piano B, congeliamo il debito no non è vero, usciamo dall’euro no non è vero, me ne frego del tetto al deficit anzi no rispetteremo i vincoli europei, diamo tutto allo stato quasi che non avessimo il terzo debito pubblico al mondo ma una cassa piena di dobloni d’oro che non sappiamo come impiegare o a chi regalare, farnetichiamo di promesse irrealizzabili e facciamo finta di crederci. Risultato: qualcuno, anzi più di qualcuno, nel mondo e in casa, ha cominciato a prenderci sul serio e ha messo al sicuro i suoi risparmi, è uscito dal portafoglio italiano, è scappato dal rischio paese tutto politico e fatto esclusivamente di parole. L’aumento dei rendimenti dei nostri titoli sovrani nell’arco di tempo che va da metà maggio – il giorno dopo la famigerata bozza del contratto di governo gialloverde, con l’ipotesi poi smentita di congelamento di una parte del debito – alla fine di agosto è decisamente significativo e i titoli di stato italiani diventano i più cari dell’eurozona, secondi soltanto a quelli della Grecia. Per essere chiari: non era mai accaduto, nemmeno nel 2011. Poi è successo qualcosa di più: abbiamo visto un corteo di bandiere bianche sotto Palazzo Chigi, mezzo governo grillino affacciato al balcone e un vicepresidente del consiglio, Luigi Di Maio, che annuncia euforico: è finita che i soldi li abbiamo trovati, è finita che è arrivata la manovra del popolo e abbiamo eliminato la povertà, senza mai dire che i soldi li ha trovati(forse) a deficit, accendendo un nuovo debito sulla testa di ognuno di noi quasi come alzandoci la rata del mutuo che dovremo pagare addirittura per una casa che non compreremo. Per descrivere la scena sono stati scomodati i coniugi argentini Juan Domingo ed Evita Perón o Fidel Castro, affacciato con i suoi barbudos al terrazzino azzurro della palazzina coloniale che domina la piazza di Santiago. A me purtroppo il colpo d’occhio delle facce euforiche dei ministri pentastellati e dei loro supporter che sventolano le bandiere grilline sotto il balcone del palazzo di governo ricorda l’euforia della piazza di Atene dopo il referendum vinto dai populisti contro il piano europeo di austerità e coincide con il compleanno amaro della deriva greca. Ha segnato la fine della sovranità sostanziale di quel popolo, riconquistata dopo anni di povertà totale e lacerazioni indicibili che hanno scandito l’Odissea moderna della Grecia. Dentro di me percepisco che continuiamo a giocare con le parole, ma stiamo tristemente cominciando a giocare anche con i fatti. Nulla di irreparabile, sia chiaro, ma di molto grave sì, questo è certo.

Vorrei che fosse chiaro a tutti che formulo queste valutazioni guardando in faccia la realtà italiana ed europea in un quadro globale: è indubitabile che viviamo i tempi di una specie di rivoluzione francese diffusa dove ormai ogni élite nazionale fa i conti con i suoi sans-culottes. Bisogna prendere atto che il vecchio club franco-tedesco non regge più e, da europeista convinto e mai pentito, sono più che mai consapevole che la musica deve cambiare, dalle banche agli investimenti, dalla lotta alla povertà alla politica estera, fino alla capacità di mobilitare risorse per ridurre squilibri e disagio sociale. Trump, Brexit, l’offensiva sovranista nel Vecchio Continente anche nelle roccaforti tedesche, l’espansionismo cinese che porta nel mondo la sua forza economica ma anche il segno di un cammino incompiuto della democrazia, il papa venuto dalla fine del mondo, il ritorno sulla scena della Russia di Putin, i troppi focolai geopolitici che esplodono in giro per il mondo – Arabia Saudita, Turchia, Argentina, Venezuela, Brasile – sono tutti eventi che mettono a nudo un’incapacità diffusa delle leadership politiche tradizionali di interpretare l’anima della pubblica opinione alle prese con la grande crisi sociale per vari motivi che vanno dall’elitarismo alla profondità della crisi economica. Si avverte in casa una incapacità diffusa di cogliere ciò che si agita nella pancia e nella testa degli italiani, ma c’è un modo solo per arginare la forza (vera) di ribellione che monta con il populismo e fornire quelle risposte sociali che il populismo chiede, ma non riesce dare o per lo meno mostra di non essere capace di dare in modo coerente, al passo con un mondo globalizzato percorso da pulsioni sovraniste, dove mercato e democrazia devono trovare nuovi punti di incontro senza indulgere a declinazioni autoritarie e senza fare confusione con i fondamentali dell’economia.

Occorre recuperare le ragioni profonde del nostro sistema-paese, lo spirito dei De Gasperi, degli Einaudi, degli Andreatta e dei Moro, ma anche di grandi imprenditori come i Costa, grandi sindacalisti come i Di Vittorio, grandi commis di stato come i Pescatore, e occorre altresì misurarsi con il dualismo irrisolto, anzi aggravato, di un paese che mette insieme un Nord moderno che insegue la Germania e un Sud arretrato che non è la Grecia ma può diventarlo se non si danno risposte alla sua fame di infrastrutture materiali e immateriali e si lascia colpevolmente che sull’albero della riscossa civile tornino a crescere i frutti malati di un nuovo assistenzialismo, peraltro tutto a debito. Non possiamo permettere che mentre il mondo aspetta colpevolmente la sua nuova Bretton Woods, la debolezza congenita di quegli accordi mai affrontata e mai risolta come diceva ormai più di dieci anni fa Carlo Azeglio Ciampi, in casa tra un abuso e l’altro della parola popolo, facendo strame di ogni regola, “comprando” consensi vendendo sogni e annunciando ciò che non si può fare ed è bene non fare, non solo non si superi la crisi sociale, anzi la si aggravi, ma si spiani la strada a quella Italexit che si è riusciti per fortuna a evitare in extremis nella nostra storia recente. Bisogna che tutti sappiano che un primo Cigno nero lo abbiamo già avuto appena ieri e che, se dovesse ripetersi oggi, l’Italia per come la conosciamo noi e la conosce il mondo non esisterebbe più. Questo rischio va scongiurato in modo assoluto. Siamo ancora in tempo per farlo, guai se non avvenisse. Vogliamo davvero continuare a stare tutti zitti e lasciare che il primo governo sovranista-populista, magari senza neppure rendersene conto fino in fondo, indebolisca a tal punto la reputazione della firma sovrana da far perdere all’Italia la sua sovranità consegnando le chiavi del paese alla Troika – i commissari della Commissione europea, della BCE e del Fondo monetario internazionale – e quelle della cassaforte italiana, le Generali, agli odiati-amati cugini francesi, ovviamente a prezzi disaldo? No, questo è troppo, forse anche per un popolo di cinici come noi. Questa volta non può bastare pensare solo al portafoglio e mettere al sicuro fuori dall’Italia i propri risparmi. Non ha senso nascondere la realtà, anzi sarebbe da irresponsabili, sia perché si è ancora in tempo per porvi rimedio sia perché dietro il governo giallo- verde c’è la rappresentanza politica dell’interesse di un popolo che esprime qualcosa di profondo, parla all’Europa, e merita rispetto. Per essere ascoltati e completare il disegno degli Stati Uniti d’Europa, affrontare la piaga degli squilibri territoriali e le sofferenze dell’economia reale, dare un futuro strutturato alle nuove generazioni mettendo al centro del sistema ricerca e innovazione, bisogna essere persone serie e bisogna dimostrarlo nelle parole e nei comportamenti. Senza il rispetto degli altri si grida al vento e si aumenta il prezzo dei sacrifici che gli italiani dovranno tornare a sostenere proprio quando quella stagione volgeva, di suo, al termine.

Abbiamo tante colpe, ma non ci meritiamo l’affronto di una deriva greca o magari argentina, fate voi, soprattutto non lo meritano i nostri giovani, il più strepitoso capitale umano di questo paese che abbiamo regalato agli altri. Questo capitale, fatto di talento individuale e di valore organizzato, ha conquistato il mondo, ma lo abbiamo costruito e pagato noi, è nato e si è formato nelle nostre case, nelle nostre scuole e nelle nostre università. Non è più tempo di egoismi, piccolo cabotaggio, capitalismo relazionale, parole in libertà, plebiscitarismi pericolosi, scorciatoie sovraniste e affanni europeisti, miopia politica e civile. Ricordiamoci ogni mattina e ogni sera che tornano a volteggiare nel cielo italiano i soliti avvoltoi francesi, l’immancabile Christine Lagarde del Fondo Monetario Internazionale e il commissario europeo Pierre Moscovici sono molto preoccupati, Emmanuel Macron parla pericolosamente della Siria e di Assad esattamente come faceva Sarkozy della Libia e di Gheddafi. Per quanto insopportabili tutti e tre e indubbiamente di cattivo presagio, è bene che sia chiaro a tutti che se dovesse tornare il Cigno nero italiano questa volta sarebbe autoindotto, lo avremmo fabbricato noi con il nostro vaniloquio e, una cosa è certa, non ci sarà un altro Cavaliere bianco, non può esserci e non ci sarà. Apriamo gli occhi e facciamoci sentire. Aiuteremo il cambiamento. Quello vero. Aiuteremo il cambiamento a diventare effettivo, a scendere dalla luna in terra, a fare i conti con la realtà o, alternativamente, avremmo almeno contribuito a evitare la deriva. Quella greca, prima di tutte. Apriamo gli occhi.


Il testo è l'introduzione al libro "Apriamo gli Occhi" di Roberto Napoletno, Editore La Nave di Teseo+. Il libro è disponibile da oggi in tutte le librerie italiani e sui principali bookstore on line.

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Giornalista. Già direttore del Sole 24 Ore, dell’agenzia di stampa Radiocor, di Radio 24 e di Guida al Diritto. È stato anche direttore del Messaggero (dal febbraio 2006 al marzo 2011).
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