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Ammazzò madre e sorella malate per non vederle soffrire, dopo 18 anni si suicida accoltellandosi

Il massacro andò in scena a Cattolica, il 16 dicembre del 1999. “Non volevo vederle soffrire” disse all’epoca. Sua madre, malata terminata di cancro, aveva pochi giorni di vita e sua sorella, affetta da gravi disturbi psichiatrici, stava per finire in un istituto per malati mentali.
A cura di Angela Marino
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Muore suicida il protagonista di una storia maledetta, una storia di disperazione e degrado andata in scena 18 anni fa. Massimo Perini, il bagnino di Cattolica che uccise la madre malata terminale e la sorella affetta da gravi disturbi psichiatrici, si è ucciso accoltellandosi al petto. A ritrovarlo in una pozza di sangue nello stesso appartamento di via Torconca dove massacrò le due donne, è stato un suo amico. Ormai, però, era troppo tardi.

Il punto di rottura

La tragedia si consumò il 16 dicembre 1999 a Cattolica. A mamma Flavia, di 78 anni di cui la maggior parte passati ad occuparsi della figlia Marisa, 38, affetta da gravi disturbi psichiatrici, era stato diagnosticato un cancro in fase terminale. Fu quello il punto di rottura per Massimo Perini. Avrebbe visto sua madre consumarsi e sua sorella priva dell'unico punto di riferimento che conoscesse, quella madre l'aveva assistita amorevolmente per una vita, rifiutando con tutte le sue forze di affidarla a una struttura per malati psichiatrici. E Massimo decise che sarebbe stato così, in manicomio non ci sarebbe mai andata, sarebbe morta con la sua mamma, avrebbero lasciato questo mondo insieme, come avevano vissuto.

Il massacro

Così andò da un ferramenta e si fece fabbricare una spranga, poi prese i farmaci di sua sorella e se li somministrò in piccole dosi. L'avrebbero portato lontano dal male, dalla vita, dalla coscienza, da tutto, come facevano con Marisa, blandendo quell'ultimo briciolo di umanità che avrebbe potuto impedirgli di mettere in atto il suo piano. Arrivò il 16 dicembre, Marisa scappò di casa per l'ennesima volta, come sempre lui la riportò indietro. Quello stesso giorno chiese a un medico una soluzione per Marisa, ma la risposta fu negativa. Allora fece quello che da tempo pensava: somministrò loro massicce dosi degli stessi farmaci che aveva assunto in dosi massicce, una pietosa anestesia perché non vedessero, non capissero. Mentre madre e figlia giacevano prive di coscienza le colpì a sprangate una, due volte, ma non successe niente, così prese una corda e gliela serrò stretta intorno al collo fino a che non smisero di respirare.

L'epilogo

Uscì di casa  diretto alla stazione dove avrebbe preso un treno per Roma, ma fu arrestato poco dopo, senza opporre resistenza, senza dire una parola se non che lo aveva fatto per non vederle soffrire. I giudici lo condannarono a 20 anni di carcere cancellando l'aggravante della premeditazione e riconoscendo quel massacro come figlio della disperazione e delle circostanze. Massimo Perini era uscito dal carcere poco tempo fa, per buona condotta, dopo essersi comportato da detenuto modello durante tutto il periodo di detenzione. Tornato a casa, quella stessa casa dove aveva messo fine alla vita della sua famiglia, ha preso un coltello e se l'è conficcato nel petto, con forza, con rabbia. Quel gesto di cupa disperazione, Massimo, non se l'era mai perdonato.

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