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Amazzonia: assassinato Eusebio, leader indios che difendeva le foreste

A capo degli indios Ka’apor dell’Alto Turiaçu, è stato colpito da due sicari in moto alle spalle. Di mezzo c’è sempre la protezione della foresta amazzonica dalla deforestazione illegale.
A cura di Biagio Chiariello
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Il leader indigeno della comunità dei Ka’apor dell’Alto Turiaçu è stato ammazzato in un agguato condotto nella foresta amazzonica, in Brasile, da due uomini incappucciati che gli hanno sparato alla schiena a bordo di un moto, e che si presume possano essere dei taglialegna fuorilegge. Eusébio lottava contro la deforestazione dell’Amazzonia nello Stato brasiliano del Maranhão. “Non è la prima volta che i Ka’apor denunciano di aver ricevuto minacce dalle imprese responsabili della deforestazione”, dice in una nota Greenpeace, rilevando che almeno “dal 2008 i Ka’apor chiedono interventi contro il taglio illegale, ma sono state condotte solo sporadiche operazioni e non appena gli ispettori se ne sono andati l’attività criminale è ripresa”. A partire dal 2013, “stanchi di aspettare l’intervento del governo, i Ka’apor hanno iniziato un monitoraggio indipendente delle foreste, cacciando le aziende coinvolte nel taglio illegale, ottenendo in cambio rappresaglie, minacce e persecuzioni”, aggiunge Greenpeace. “I Ka’apor cercano di difendere il loro territorio, ma sono soli, senza sostegno da parte del governo, che dovrebbe impegnarsi invece a far rispettare la legge” afferma Madalena Borges, del Consiglio missionario indigeno di Maranhão, secondo quanto riferito dall’associazione ambientalista.

L’Alto Turiaçu ha perso circa 44mila ettari di foresta dal 2012 a oggi, pari all’8 per cento del totale nella regione. Si tratta della quinta zona più minacciata dell’Amazzonia. Molte persone si sono battute per combattere questo scempio. Prima di Eusebio, è toccata la stessa sorte a decine e decine di uomini e donne che chiedevano solo il diritto di vivere nelle loro foreste. L’industria del legname in quella zona è fuori controllo, denuncia Greenpeace. “Quello che incoraggia le imprese a rubare il legname dalle terre indigene è il fatto che la refurtiva possa facilmente essere spacciata per prodotto legale e venduta, anche sul mercato internazionale, senza problemi. Questo genera conflitti sociali e talvolta persino omicidi”, commenta Chiara Campione, della Campagna foreste di Greenpeace Italia.

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