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Opinioni

Roberto Andò: “Un teatro più essenziale e tecnologico per salvare il settore”

Intervista a Roberto Andò, direttore del Teatro Stabile di Napoli. “I teatri finanziati dallo Stato svolgono un servizio pubblico e possono riaprire anche con pochi spettatori” dice lo scrittore e regista siciliano. “Senza venir meno a principi di salute pubblica, bisogna salvaguardare competenze, patrimoni e i mestieri di chi fa teatro.”
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"Ci aspetta un nuovo modo nuovo di fare teatro, più francescano, senza pompe e vanità, un teatro nudo, in cui bisognerà fare un buon uso delle tecnologie. Queste dimensioni dovranno viaggiare di pari passo…". Probabilmente Roberto Andò è tra i primi, all'interno della schiera di intellettuali e artisti chiamati a ruoli direttivi nel settore culturale pubblico, a esporsi proponendo una visione, ancorché agli stadi iniziali e figlia dell'incertezza in cui tutti ci troviamo, del domani. Ipotizzando, ragionando, dubitando, in ogni caso privo di quella dimensione talvolta grevemente assertiva che caratterizzava il suo precedessore alla direzione del Teatro Stabile di Napoli. Che, tuttavia, in eredità gli ha lasciato uno dei sei teatri nazionali attualmente finanziati dal MiBact, comprendente le due sale (principale e Ridotto) del Mercadante e il San Ferdinando che fu di Eduardo De Filippo.

Nudità del teatro e tecnologia, un binomio all'apparenza inconciliabile. In che modo potranno coesistere?

Questo virus è particolarmente ostile al teatro, perché il teatro è per sua natura assemblea. Il distanziamento sociale con cui dovremmo convivere ci fa capire le immani difficoltà che ci troveremo ad affrontare. Il che probabilmente significa che dovremmo immaginarci spettacoli con meno attori in scena, con dimensioni produttive più piccole. La tecnologia ci darà un aiuto, soprattutto per tenere viva la comunità degli spettatori, il foyer si farà in rete.

Secondo quest'idea sembra non esserci più spazio per il teatro così come l'abbiamo finora concepito.

Finché non ci sarà un vaccino, non torneremo indietro. Forse nemmeno dopo. Questo virus interroga tutto il mondo del teatro e noi, come comunità, dobbiamo chiederci: siamo sicuri di sapere cos'è il teatro? Le domande che ponevano Bausch, Kantor, Grotowksi oggi diventano ineludibili. Il teatro è stare su un palcoscenico, ma adesso quello stare in palcoscenico non si può realizzare, dovremmo trovare altri modi. In fondo, tutto questo – compresa l'immagine del papa da solo a San Pietro, che dice messa senza fedeli, metafora potente e tragica di un teatro rimasto vuoto – ci dice che bisogna ridiscutere il Novecento una volta e per tutte.

Per ripensare il modo di far teatro, bisogna far teatro. Avete ricevuto linee guida su come fare?

No, le stiamo aspettando. Ogni ragionamento estetico sarà subordinato ad esse.

Qual è la sua idea sul come e quando ripartire?

La mia speranza sarebbe tornare in scena quest'estate, utilizzando spazi all'aperto che a Napoli non mancano. Anni fa, proprio a qui, realizzai uno spettacolo alla Darsena Acton. Ovviamente, con le norme di distanziamento sociale, sarà impossibile pensare a repliche per un numero di spettatori troppo vasto. Saremo di meno, ma saremo in vita. È fondamentale adesso tornare ad accendere la "macchina" teatrale. Il teatro è un servizio pubblico, in questo momento dobbiamo proteggere anche chi ci lavora, dobbiamo salvaguardare competenze, patrimoni di saperi. Non solo attori e registi, penso a tutte le maestranze, ai tecnici, attrezzisti, costumisti, scenografi, truccatori e, in generale, a tutte le persone che fanno il teatro e vivono di teatro. Il nostro è un settore dove la precarietà è all'ordine del giorno, è in un certo senso persino "esistenziale", ma noi teatri pubblici, finanziati dallo Stato, abbiamo l'obbligo di tornare in scena appena sarà possibile. Essere – perché no – una sorta di "ammortizzatore" sociale del settore. Senza venir meno a principi di cautela e salute pubblica.

Come sarà la prossima stagione teatrale, la prima che firmerà?

Inutile nascondere l'amarezza per il blocco delle attività e quindi anche del cartellone che eravamo pronti ad annunciare. Pensavo di presentarmi al pubblico napoletano con un mio spettacolo, ma adesso siamo nell'incertezza più totale e ogni decisione è stata spazzata via. La stagione di quest'anno è stata interrotta di colpo, si creerà una sorta di imbuto in cui ci ritroveremo nostro malgrado tutti. Per questo ritengo fondamentale ripartire in qualche modo. Anche se ci fossero meno spettatori, avrebbe un senso tenere il filo con il pubblico. Peraltro, e qui ragiono da teatrante puro, in questo stato di necessità potrebbero venir fuori delle cose interessanti.

Come si immagina la riapertura del Mercadante?

Non so ancora se sarà possibile, ma un'ipotesi potrebbe essere ripensare la struttura dei nostri teatri all'italiana. Svuotare la platea, creare un'arena con al centro l'attore (o gli attori, quelli consentiti) e tutto attorno nei palchi il pubblico opportunamente distanziato. Forse anche il palcoscenico dovrà trasformarsi in un luogo per accogliere lo spettatore.

E gli spettacoli del futuro? Come si andrà in tournée?

Probabilmente dovremo ripensare tutta la filiera, immaginandoci circuitazioni regionali, produzioni stanziali. La fase di convalescenza nella quale ci troviamo e in cui resteremo chissà per quanto ci costringerà a improvvisi Stop&Go, implicherà una serie di conseguenze relativamente ai focolai che si avranno. Ci saranno consentite fare alcune cose sulla scena ed altre no, dovremo rispettare protocolli sanitari specifici.

Per ripensare il teatro in modo così radicale, bisogna anche immaginarsi nuovi modi per arrivare al pubblico. Anzi. Di formarlo. Un pubblico nuovo, di giovani e non solo.

Certo, un teatro nazionale ha importanti responsabilità sotto questo profilo. Sarà una delle priorità quando sapremo come tornare in scena. La multidisciplinarietà tipica del teatro è una delle caratteristiche più feconde da cui ripartire per questa missione. Il teatro francescano di cui parlo è un teatro senza pompe e senza vanità, la sua sfida è presentarsi con mezzi semplici, ma anche più potenti.

Un'ultima domanda: cosa pensa del teatro in televisione di cui si sta facendo un gran parlare?

Di teatro in televisione ce n'è bisogno, eccome. Come uno strumento complementare al teatro vero, uno strumento di studio e conoscenza, attraverso la fruizione degli archivi. Ma ipotizzare delle nuove produzioni televisive per il teatro presenta le stesse difficoltà della riapertura dei set cinematografici e televisivi. Si dovrebbe prima trovare un protocollo sanitario condiviso e una qualche forma di assicurazione. Cosa che, al momento, non esiste.

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Scrittore, sceneggiatore, giornalista. Nato a Napoli nel 1979. Il suo ultimo romanzo è "Le creature" (Rizzoli). Collabora con diverse riviste e quotidiani, è redattore della trasmissione Zazà su Rai Radio 3.
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