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Piero Manzoni a Milano. In mostra anche la Merda d’artista (VIDEO)

Dal 26 marzo al 2 giugno Palazzo Reale dedica una grande mostra a Piero Manzoni. A Milano si racconta una rivoluzione del pensiero con gli Achromes, il Fiato e la Merda d’artista, le Impronte, le Linee in scatola, le Basi magiche ed altre opere geniali e folgoranti.
A cura di Gabriella Valente
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Al grande pubblico è noto principalmente per le provocatorie scatolette di Merda d’artista, ma Piero Manzoni è anche molto altro, e la grande retrospettiva milanese di Palazzo Reale (26 marzo – 2 giugno) lo dimostra, rivelando come quelle scatolette siano una delle tante espressioni di genialità con cui l'autore ha rivoluzionato la concezione dell’arte e dell’operare artistico del secondo ‘900.

"Piero Manzoni 1933-1963" è una delle più importanti mostre mai allestite dalla scomparsa dell’artista, a circa mezzo secolo da quella morte precoce che colse il giovane Piero a soli 30 anni. A celebrarlo non poteva che essere Milano, la città che lo ha visto crescere e sconvolgere il mondo dell’arte. Oltre 130 lavori – accompagnati da foto, lettere e filmati inediti – testimoniano come nella sua breve e folgorante carriera Manzoni produsse opere, azioni e pensieri strabilianti: tra la fine dei ’50 e l’inizio dei ’60, meno di 5 anni per raggiungere fama internazionale e proporre invenzioni che ancora oggi fanno discutere, divertire, stupire, riflettere.

Achrome, 1961-62, pallini di ovatta. Collezione Fioravanti Meoni
Achrome, 1961-62, pallini di ovatta. Collezione Fioravanti Meoni

Manzoni – si stenta a crederlo – fu educato in ambiente aristocratico e cattolico. Le prime creazioni sono quadri scuri, materici, pastosi, che guardano alla pittura informale ma ben presto si trasformano nei più celebri Achromes, quadri bianchi schematici, supporti per gesso, polistirolo, ovatta, ciuffi di fibra sintetica o panini dipinti, che hanno valore non per lo stile o le immagini che evocano, ma per il gesto, per il solo fatto di esistere, di esserci.

Un ironico percorso verso l’astrazione concettuale, verso l’assenza, più loquace della presenza. L’impronta digitale dell’artista, anche semplicemente impressa su un foglio di carta, diventa opera d’arte, icona che introduce il tema fondamentale dell’autorialità: l’impronta, come una firma, trasforma qualsiasi cosa in oggetto d’arte. Nell’evento “Divorare l’arte”, uova sode marchiate con l’impronta digitale dell’autore diventano prodotti preziosi: il pubblico può mangiarle o conservarle, ma in entrambi i casi starà attuando una sacralizzazione dell’artista tramite l’oggetto, sia ingerito sia conservato come reliquia.

Corpo d’aria n.06, 1959-60. Fondaz. Piero Manzoni con Gagosian Gallery
Corpo d’aria n.06, 1959-60. Fondaz. Piero Manzoni con Gagosian Gallery

Non si tratta di “comprare un Manzoni”, ma di “comprare Manzoni”, perché è l’autore che si fa opera. È il caso ad esempio del pregiato Fiato d’artista, un palloncino che acquista immensa sostanza artistica in quanto gonfiato con aria d’autore. Segue lo stesso principio la serie celeberrima della Merda d’artista – nel corso degli anni esaltata, contestata o rifiutata dalla critica e dal pubblico. Piero la raccontò così, con un sarcastico e preciso linguaggio commerciale: “Nel mese di maggio del ’61 ho prodotto e inscatolato 90 scatole di “merda d’artista” (gr. 30 ciascuna) conservata al naturale (made in Italy)”. In quanto “d’artista”, autografata e numerata, anche una scatola di escrementi acquisisce valore, un valore peraltro arbitrario – come tipico del mercato dell’arte – che Manzoni fissa basandosi sulla parità tra merda d’artista e oro, per cui 30 grammi dell’una dovevano costare quanto 30 grammi di oro.

Linea m 7200, 1960, inchiostro su carta, cilindro di zinco, fogli di piombo. Heart, Herning Museum
Linea m 7200, 1960, inchiostro su carta, cilindro di zinco, fogli di piombo. Heart, Herning Museum

Il ribelle milanese scardina i principi dell’arte e del suo mercato, e lo fa senza mostrare alcunché, pretendendo fiducia da parte del pubblico: non sappiamo cosa ci sia davvero in quelle scatolette di latta, non sappiamo se i palloncini siano stati gonfiati veramente dall’artista, non sappiamo se nel monumentale cilindro di zinco ci sia realmente la Linea lunga 7200 metri disegnata su carta e arrotolata, come le tante altre Linee sigillate in cilindri di cartone. In tutti questi lavori intriganti e inaccessibili l’opera è raccontata, ma mai vista. Eppure è arte, perché lo dice l’autore, duchampianamente; e noi dobbiamo accettarlo. A scatola chiusa, è il caso di dirlo.

Piero Manzoni firma una modella trasformandola in Scultura vivente, durante le riprese per il filmgiornale S.E.D.I., Milano 1961
Piero Manzoni firma una modella trasformandola in Scultura vivente, durante le riprese per il filmgiornale S.E.D.I., Milano 1961

Versione rivisitata di re Mida, qualsiasi cosa o persona l’autore tocchi – o meglio firmi o etichetti – diventerà arte. Inizia autografando corpi di modelle e prosegue con le Basi magiche, piedistalli con la didascalia “Piero Manzoni, Scultura vivente” che trasformano in opera chiunque vi salga, alla ricerca forse di “15 minuti di celebrità”. Tra le Basi magiche la variante più esaltante è anche il lavoro che meglio racchiude l’essenza del pensiero manzoniano: un piedistallo rovesciato con la scritta Socle du monde (base del mondo). Con questo gesto decisivo il mondo intero e tutti noi saremo per sempre un'opera d’arte di Piero Manzoni.

L’esposizione di Milano è realizzata in collaborazione con la Fondazione Piero Manzoni e curata da Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo, i quali, nell’intervista fatta durante l’allestimento a Palazzo Reale, raccontano le ragioni della mostra, il valore sovversivo dell’artista e alcuni suoi aspetti biografici meno ufficiali.

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