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Il vergognoso silenzio intorno a Eniola Aluko

Una calciatrice della Juventus, con più di 100 presenze nella nazionale inglese, decide di andarsene dall’Italia un anno prima della scadenza del suo contratto perché non riesce più a sopportare il razzismo per strada e la cultura razzista di certo mondo del calcio. Ovviamente nessuno dice niente. E il suo allarme cade nel silenzio.
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A cura di Giulio Cavalli
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Se di mezzo ci fosse un calciatore uomo, uno con parecchi trofei alle spalle, un giocatore di punta delle squadre che si giocano lo scudetto, oggi sarebbe tutto uno scannarsi, un indignarsi, un profluvio di opinioni e di paginate sui giornaloni: Eniola Aluko invece è calciatrice donna e per di più nera e quindi la sua vicenda è qualcosa che rientra nelle pagine interne, che non scomoda la politica e che passa in secondo piano. Eppure la calciatrice inglese nata in Nigeria gioca nella Juventus che domina il campionato e ha deciso di andarsene dall'Italia un anno e mezzo prima del previsto perché stanca "di entrare nei negozi e sentirmi come se il proprietario si aspettasse che potessi rubare qualcosa". Ha raccontato tutto nella sua rubrica per il Guardian ma ne aveva scritto a settembre sulla rivista The Players’ Tribune e ne scrive anche nel suo ultimo libro.

Immaginate Cristiano Ronaldo, tanto per rimanere nel campo degli attaccanti e della Juventus, che domani dica di non poter giocare in Italia per il comportamento degli italiani. Immaginate la FIGC e i presidenti delle società di calcio, tutti incalliti, a dibattere sulla questione. Immaginate i tifosi come si sgolerebbero. Che un professionista decida di abbandonare il nostro Paese per motivi umani e non lavorativi lanciando accuse così nette e circostanziate è una vergogna impensabile da accettare sotto silenzio. Eppure le parole di Eniola Aluko vengono riprese solo dalla sindaca di Torino Chiara Appendino che, come se fosse punta nell'orgoglio, ci tiene a precisare che a Torino non sono mica tutti razzisti (e ci mancherebbe) e che "Torino non è così". Il solito giochetto di fare gli offesi, piuttosto che discutere con coraggio nel merito. Chissà se la sindaca ha mai ascoltato quella Torino che ancora chiama terroni gli italiani del sud. E chissà perché la FIGC e il CONI, piuttosto che preparare scintillanti slogan pubblicitari e luccicanti striscioni pre partita, non sentono il dovere una volta per tutte di riconoscere che oltre alla facciata un serio esame di coscienza continua a essere rimandato. Chissà che ne dicono di un'atleta che decide di andarsene lanciando accuse precise e ottenendo silenzio. E la politica? La politica che in questi anni è stata capace di depositare interrogazioni parlamentari per qualche rigore non concesso? Nulla. Niente. Siamo ancora ai ceffoni, agli insulti e alle proposte di matrimonio. Aluko parla di Torino ma è tutto il mondo dello sport (e la politica che dovrebbe governarlo) a uscirne completamente smutandato a livello internazionale. Torniamo a Ronaldo: immaginate Cristiano Ronaldo dire le stesse cose e tutti gli altri a fare ciao ciao con la manina. Ma vi pare possibile?

«Un giorno a Torino – ha scritto Aluko – sono entrata in un minimarket sotto casa. Appena ho iniziato a fare la spesa, ho sentito una donna chiedermi se potevo lasciare il mio zaino all’ingresso. Lì per lì non avevo capito e ho continuato con la spesa: un pacco di pasta, un vasetto di pesto. Notando nel frattempo che nessun cliente aveva lasciato le borse all’ingresso (…). Allora sono andata dalla donna e le ho detto: “Vedo che non ci sono altre borse all’ingresso e ci sono altre persone nel negozio. Perché mi ha chiesto di lasciare il mio zaino qui?”. Lei ha risposto: “È la regola del negozio”. Ho replicato: “No, no, no, non è la regola. Lei pensava che io volessi rubare la pasta e il pesto”. Poi le ho mostrato il logo della Juventus sul mio zaino e le ho spiegato che è la squadra in cui gioco. E solo a quel punto lei ha realizzato che non avrei rubato niente. “Oddio, mi dispiace tanto”. Ma per me non era abbastanza. Le ho detto: “Ascolti, lei non può fare una cosa del genere. Ci saranno tante altre persone che verranno qui e non saranno della Juventus, ma meritano di essere trattate come ogni altro cliente”. Era mortificata. Ma ve lo garantisco: se un’altra ragazza nera entrerà in quel negozio, una cosa del genere non le succederà più». È solo uno degli episodi che spinge la calciatrice a dire: «Torino mi è sembrata arretrata di decenni in termini di integrazione. Mi sono stancata di entrare nei negozi e sentirmi come se il proprietario si aspettasse che potessi rubare qualcosa. Tante volte arrivi all’aeroporto di Torino e i cani ti fiutano come se fossi Pablo Escobar. Non ho sofferto episodi di razzismo in campionato, ma in Italia e nel calcio italiano il problema esiste, ed è la risposta che mi preoccupa veramente, dai presidenti ai tifosi del calcio maschile che sembrano vederlo come una parte della cultura del tifo».

Aluko, tanto per rendere l'idea, è una delle 11 calciatrici inglesi che ha vestito la maglia della nazionale per più di 100 volte, ha studiato giurisprudenza e aderendo al progetto Common Goal cede l'1% dei suoi guadagni per organizzazioni impegnate nel sociale. Il suo sguardo sull'Italia e su Torino (e il suo giudizio) è quello di una persona ambiziosa che ha girato il mondo per motivi professionali. La sua storia dovrebbe sottolineare il peso delle sue parole. E invece niente. Anche questa volta tutto viene considerato come un semplice incidente. Aluko se ne andrà e non se ne parli più. E chissà quanto come lei se ne sono già andati, intanto.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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