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Coronavirus, l’infettivologo Galli (Sacco): “Non siamo ancora arrivati al picco”

Secondo l’infettivologo Massimo Galli, primario dell’ospedale Sacco di Milano, siamo ancora lontani dal picco dell’emergenza Coronavirus in Italia: “I numeri prevedibilmente in progresso sono l’espressione di un’espansione dell’epidemia in termini di contagi già avvenuta. Bene la chiusura delle attività ma dobbiamo contenere davvero il virus”.
A cura di Ida Artiaco
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Non siamo ancora vicini al picco dell'emergenza Coronavirus in Italia e il bilancio di contagi e decessi continuerà a crescere ancora per un po'. Ne è convinto Massimo Galli, infettivologo e primario dell'ospedale Sacco di Milano, da settimane impegnato nella lotta al nuovo virus, che in Lombardia sta mettendo in ginocchio il sistema sanitario regionale. In un'intervista rilasciata al quotidiano Il Messaggero, l'esperto ha spiegato che "i numeri prevedibilmente in progresso sono l'espressione di un'espansione dell'epidemia in termini di contagi già avvenuta. Poiché vengono forniti solo i dati dei pazienti sintomatici, e non sappiamo quanti asintomatici siano ancora in giro, considerato il trend di crescita al picco non siamo ancora arrivati".

Bene le misure restrittive stabilite dal governo per contenere il dilagare ulteriore del contagio, ma non è ancora abbastanza. "La chiusura dei negozi, di bar e ristoranti è decisamente importante, ma la definizione delle attività che possono essere continuate va subito specificata – ha affermato -. Due, in particolare, sono gli ambiti che dovrebbero essere implementati. Il fronte degli ospedali, che è sotto pressione rischia di sprofondare in una grave crisi. L'altro, fondamentale, riguarda la battaglia del virus sul territorio: dobbiamo contenere davvero l'epidemia, non possiamo pensare che gli ospedali possano farsi carico dei malati che arrivano. Questo aspetto va valutato con attenzione e bisogna agire con incisività".

Fondamentale, oltre al distanziamento sociale, sarebbe il tracciamento dei contatti avuti dagli infetti per evitare nuovi contagi. "Uno studio, pubblicato il 28 febbraio sulla rivista The Lancet, rileva che considerando un tasso netto di riproduzione del 2.5, l'isolamento dell'80% delle persone che sono entrate in contatto con un paziente affetto da Coronavirus permetterebbe di controllare il 90% dei focolai. Bisogna risalire a tutti coloro che sono stati in contatto con le persone malate, metterli in quarantena, seguire la comparsa o meno dei sintomi dell'infezione. L'impressione è che vere indagini epidemiologiche su tutti i contatti reali dei malati non vengano fatte. Certo non è facile, sia chiaro, la mia non è una critica. Non punto il dito contro nessuno, dico solo che per fare ciò è importante mobilitare di più la medicina territoriale, il ruolo dei medici di famiglia, sviluppare programmi di telemedicina dedicati ai pazienti in isolamento a casa. Il distanziamento sociale è fondamentale, ma il tracciamento è importante per uscirne prima".

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