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Continua la fuga dei laureati italiani all’estero: solo uno su tre decide di tornare nel Belpaese

Un recente rapporto Istat rileva la prosecuzione della fuga dei giovani laureati dall’Italia: “Nel 2016 circa 16 mila laureati italiani tra i 25 e i 39 anni hanno lasciato il Paese e poco più di 5 mila sono rientrati, confermando il trend negativo del tasso di migratorietà dei giovani laureati”.
A cura di Charlotte Matteini
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Prosegue l'esodo dei giovani, soprattutto laureati, verso l'estero. Un recente rapporto sul benessere equo e sostenibile realizzato da Istat ha infatti rilevato che nel 2016, a fronte di 16mila laureati italiani emigrati all'estero, poco più di 5mila hanno deciso di tornare in Italia: "Nel 2016 circa 16 mila laureati italiani tra i 25 e i 39 anni hanno lasciato il Paese e poco più di 5 mila sono rientrati, confermando il trend negativo del tasso di migratorietà dei giovani laureati". In sostanza, dunque, i giovani laureati che decidono di partire per l'estero in cerca di opportunità migliori molto spesso non fanno ritorno in Patria, solo uno su tre opta per tornare nel Belpaese. In un anno, rileva il rapporto Bes di Istat, per tre under-40 con titolo accademico andati via, solo uno è rimpatriato e "la capacità dell'Italia di favorire prospettive di occupazione altamente qualificata per i laureati italiani continua a mostrare segnali decisamente negativi". A leggere i rilievi di Istat, dunque, sembra sempre più accentuata la tendenza alla fuga da parte dei giovani italiani specializzati e sembra anche ormai acclarata l'incapacità del Belpaese a mantenere in Patria i talenti che forma.

Sul fronte della finanza personale, Istat sottolinea che nel 2016 continua ad aumentare il reddito disponibile delle famiglie consumatrici (+1,6% rispetto all'anno precedente): in termini pro capite, il reddito medio disponibile è pari a 18.191 euro, ma allo stesso tempo aumenta anche la disuguaglianza tra i redditi. Guardando ai dati sulla distribuzione del reddito relativi al 2015, infatti, si rileva "un incremento più intenso per il quinto più ricco della popolazione, trainato dalla decisa crescita nella fascia alta dei redditi da lavoro autonomo". Questa distribuzione disomogenea ha portato all'aumento della disuguaglianza e il "rapporto tra il reddito posseduto nel 2015 dal 20% della popolazione con i redditi più alti e il 20% con i redditi più bassi è salito a 6,3, dal 5,8 registrato nel 2014".

Anche sul fronte delle differenze di genere, l'Istat non rileva mutamenti positivi: per quanto riguarda la differenza reddituale tra uomini e donne, l'Istituto di Statistica rileva che la "quota di occupati part time involontario è costante, ma aumenta il divario rispetto all'Europa: si colloca poco al di sotto del 12% e rimane particolarmente elevata tra le donne (19,1% contro 6,5%per gli uomini)". Insomma, nel Belpaese le donne fanno più fatica a emergere nel mondo del lavoro e questa stortura emerge anche guardando al rapporto tra il tasso di occupazione per chi ha figli piccoli e chi non ha figli: dopo cinque anni di aumento, è tornato infatti a diminuire da 78% a 76% a seguito di una riduzione del tasso per le prime e di un aumento per le seconde.

Nel complesso, in ogni caso, Istat rileva che in Italia la soddisfazione per la propria vita mostra netti segnali di miglioramento nel 2016, con il 41% degli individui che ne dà una valutazione molto buona, contro il 35,1% del 2015: "Sembra così avviarsi alla chiusura un periodo di forte insoddisfazione, che ha avuto inizio nel 2012, quando l’indicatore è diminuito di oltre 10 punti percentuali in un anno, passando da 45,9% a 35,3%".

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