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Brexit, si dimettono Boris Johnson e David Davis: “Governo troppo morbido con l’Ue”

Il governo di Theresa May rischia dopo le dimissioni del ministro della Brexit David Davis e del ministro degli Esteri Boris Johnson, entrambi polemici con la gestione della trattativa con l’Unione europea sulla Brexit. Secondo i due ministri euroscettici il governo avrebbe fatto troppe concessioni all’Ue.
A cura di Giorgio Tabani
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 Il governo guidato da Theresa May è sempre più a rischio: in polemica con la linea giudicata troppo debole nelle trattative con la Unione Europea, si sono dimessi Davis Davis, ministro della Brexit, e Boris Johnson, ministro degli Esteri. Entrambi lasciano dopo l'approvazione del cosiddetto piano Chequers, la proposta di accordo definitivo sulla Brexit da presentare all’Unione Europea, a cui era stato dato il via libera solo pochi giorni fa. Theresa May aveva riunito tutto il governo nella tenuta di campagna di Chequers, riservata al primo ministro britannico, e aveva illustrato quella che ad alcuni dei presenti era sembrata una inaccettabile "Brexit morbida".

Il compromesso proposto dalla May prevede un "accordo doganale facilitato", che consiste in un totale allineamento della Gran Bretagna alle regole europee sulle merci, ma non sui servizi. L’accordo continuerebbe a consentire infatti il libero scambio di merci industriali e prodotti agricoli, pur dando alla Gran Bretagna la facoltà di imporre proprie tariffe e negoziare accordi commerciali bilaterali con Paesi terzi. Sui servizi, che costituiscono l'80% dell'economia britannica, le regole dovrebbero essere diverse e ancora da definire. Finirebbe anche la libera circolazione delle persone, ma appositi accordi dovrebbero consentire ai cittadini Ue di vivere e lavorare in Gran Bretagna e ai cittadini britannici di fare lo stesso nei Paesi Ue.

Le dimissioni di Davis, segretario di Stato britannico per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea e fervente euroscettico, sono arrivate nella notte di domenica, seguite da quelle del suo sottosegretario Steve Baker. Davis, nella sua lettera di dimissioni, spiega che sarebbe stato molto difficile per lui portare a termine il suo mandato così come gli era stato inizialmente conferito, in ragione della "progressiva diluizione" e delle eccessive concessioni fatte rispetto all'opzione da lui sostenuta, ossia una "Brexit dura" con l’abbandono da parte del Regno Unito di tutte le istituzioni e di tutti i trattati dell’Unione Europea. Per Davis la proposta May lascerebbe "ampie fasce della nostra economia nelle mani della Ue", oltre a rendere il "controllo del Parlamento sulla Brexit del tutto illusorio".

La decisione di Johnson, ex sindaco di Londra e uno dei più importanti promotori del referendum sulla Brexit, è arrivata a pochi minuti da un intervento della May sulla Brexit di fronte alla Camera dei Comuni. Downing Street ha annunciato l’imminente nomina di un nuovo titolare del ministero degli Esteri e potrebbe trattarsi dell'attuale ministro dell’Ambiente Michael Gove, anche lui fra i leader della Brexit ma anche, da tempo, avversario di Johnson. Al posto di Davis è stato scelto il giovane deputato conservatore Dominic Raab, finora sottosegretario all’Edilizia, anche lui sostenitore della Brexit durante la campagna referendaria, ma oggi ritenuto più flessibile e pragmatico.

La fazione degli hard brexiters ora potrebbe provare a raccogliere le 48 firme di deputati conservatori necessarie per votare la sfiducia al governo. Se la May fosse alla fine sfiduciata, si aprirebbe la partita per la guida dei Tories e del governo, la vera ragione – secondo alcuni giornali inglesi – che avrebbe spinto Johnson alle dimissioni. In ogni caso la maggioranza parlamentare che sorregge il governo resta, e resterebbe chiunque altro fosse scelto a guidarlo, molto fragile in quanto dipendente dai 10 voti del partito unionista nord-irlandese. Per questo circola si fa strada l’ipotesi del voto anticipato, forse in autunno.

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