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Alimentazione, nei supermarket l’etichetta non dovrà più indicare l’origine del prodotto

Un nuovo regolamento Ue, che sarebbe applicato da aprile 2019, potrebbe cancellare l’obbligo per le aziende produttrici di alcuni alimenti di indicare l’origine geografica della materia prima.
A cura di Annalisa Cangemi
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Da poco è stato introdotto in Italia l'obbligo di segnalare nell'etichetta di pasta, riso, latte, formaggio e pomodoro l'origine dell'ingrediente primario del prodotto. Ma le norme italiane saranno presto superate da un regolamento europeo, che la Commissione europea avrebbe dovuto varare già quattro anni fa, secondo quanto previsto dal regolamento 1169/2011.

Il nuovo regolamento europeo potrebbe entrare in vigore dopo febbraio, ed essere pienamente operativo ad aprile 2019: a quel punto tutti i decreti italiani del 2017 inerenti a questa materia saranno annullati. In sostanza, secondo il testo di Bruxelles, sarà necessario indicare la provenienza della materia prima del prodotto nel caso in cui l'origine geografica sia diversa da quella del prodotto finito. Per esempio, come spiega Repubblica, un pacco di pasta prodotta in Italia dovrà indicare anche l’origine del grano, se questo proviene dal Canada. Oppure un prosciutto lavorato in Italia, che però viene da suini tedeschi. E fin qui non c'è nulla di diverso nella sostanza.

Il problema nasce nel caso di marchi registrati che dimostrino un collegamento con il nostro Paese (attraverso una bandiera tricolore per esempio) e se ci si trova in presenza di prodotti che vengono da aree geografiche Dop o Igp: in questi casi non si applica l'obbligo di specificare nell'etichetta l'origine della materia prima. A questo punto questa categoria di prodotti, che magari non sono stati fatti in Italia, e che magari sono stati messi in commercio da aziende che con il nostro Paese non hanno alcuna connessione, potrebbero sfruttare il brand italiano, cercando di apparire quello che non sono: cioè prodotti "made in Italy". Una sicurezza in meno per i consumatori quindi, anche per quelli italiani. In un supermercato potrebbe esserci un formaggio prodotto all'estero, da animali allevati altrove, e chi fa la spesa non verrebbe più tutelato. Chi pensa di portarsi a casa un cibo nostrano non potrà in realtà verificare il luogo d'origine.

"In questo modo la Commissione europea tradisce non solo lo spirito del regolamento 1169 ma anche i consumatori. A servizio dei grandi gruppi industriali, anche italiani, che hanno interesse a occultare l’origine dell’ingrediente primario" spiega a Repubblica Dario Dongo, avvocato esperto in diritto alimentare e fondatore del sito GIFT (Great Italian Food Trade). Chiaramente se un alimento evoca l'idea di italianità, ma è in realtà straniero, le aziende dovranno dichiarare che non "made in Italy". Ma non saranno comunque costrette a specificare che non è italiano nemmeno l'ingrediente primario.

Ma per le aziende alimentari italiane si pone anche un problema pratico: nel giro di pochi mesi dovranno cambiare tutte le etichette sulle centinaia di prodotti che escono dagli stabilimenti, quelle stesse etichette che erano state già modificate dai decreti del 2017. "Le aziende più grandi hanno speso fino a 200.000 euro per modificare gli impianti e adeguarli alle nuove regole. E tra poco dovranno stamparne di nuove" dice Massimo Forino, direttore di Assolatte. Riguardo alla clausola sui marchi registrati Forino è meno preoccupato: "Aspettiamo di vedere come verrà applicata la norma e se verrà modificata nel frattempo. Bisogna anche dire che al supermercato c’è talmente tanta scelta che il consumatore più esigente avrà sempre la possibilità di scegliere un prodotto 100% italiano".

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